Rap. Una storia, due Americhe
Cesare Alemanni
minimum fax, 350 pp., 19 euro
Inizia così RAP. Una storia, due Americhe di Cesare Alemanni: “Ho digitato le prime parole di questo libro in uno Starbucks di Buenos Aires, in radio passava ‘Florence’ del rapper londinese Loyle Carner. Altre le ho scritte in una terrazza di Katmandu con “Insane in the Brain” dei californiani Cypress Hill come sottofondo. Altre ancora in un caffè di Tokyo dal cui stereo uscivano le voci dei newyorchesi Nas e Lauryn Hill. Mi accingo a scrivere l’introduzione nel mio appartamento di Milano e per la strada sfreccia un pezzo di trap italiana a tutto volume”. Basterebbe questo per mostrare la potenza di questo genere musicale che mettendo il giradischi al centro della scena e trasformandolo in uno strumento vero è riuscito a rivoluzionare la storia della musica e la cultura contemporanea. La leggenda narra che tutto partì una notte d’estate del 1973 a una festa al 1520 di Sedgwick Avenue, nel Bronx, a New York. Un ragazzo giamaicano di nome Clive Cindy Campbell che faceva il dj e si faceva chiamare Kool Herc si rese conto che la folla rispondeva maggiormente in alcuni specifici punti delle canzoni e “immaginò che se fosse riuscito a prolungare quel momento, quella rottura, il pubblico lo avrebbe adorato”. Scoprì così “l’atomo-base della formula molecolare del rap, il break” e la giostra iniziò a girare.
Oggi il rap è una delle più grandi e redditizie industrie contemporanee. Alemanni nel suo libro ne traccia la genesi in maniera impeccabile, partendo dalle origini e illustrando anche i motivi storici politici e sociali che ne hanno favorito la nascita. Si inizia quindi con la descrizione urbanistica del Bronx negli anni Quaranta e con la spiegazione della sua successiva trasformazione a ghetto che culminò con i disordini degli anni Settanta. Il rap fu la risposta a quei disordini. Nel libro di Alemanni c’è tutto. Musica. Moda. Business. Politica. Crack. Faide. Omicidi. Ascese e cadute. Il rap viene utilizzato per narrare la storia delle minoranze afroamericane e più in generale quella degli Stati Uniti degli ultimi quarant’anni. Le figure significative scorrono davanti agli occhi una dopo l’altra senza soluzione di continuità. C’è Grandmaster Flash, l’inventore dello scratch e autore del primo pezzo conscious della storia del rap, “The Message”. C’è Afrika Bambataa che intorno al rap costruì un credo. Ci sono Sylvia e Joey Robinson, i due manager di Harlem che crearono a tavolino la prima hit della storia del movimento, Rapper’s Delight, figure che stanno all’hip-hop come Vivienne Westwood e Malcolm McLaren stanno al punk. C’è il racconto del fenomeno dei Run Dmc. C’è Rick Rubin e la Def Jam. I Beastie Boys e i Public Enemy. C’è la guerra tra east e west, tra New York e Los Angeles, tra Notorious Big e 2Pac. Nas, gli Nwa, il Wu-Tang Clan. E ancora i Tribe Called Quest, i De La Soul, Dr. Dre, Eminem, Jay Z e Kanye West. Fino ad arrivare a Obama, Ta-Nehisi Coates, Kendrick Lamar, primo rapper della storia a vincere un Pulitzer. Uno straordinario viaggio attraverso uno dei fenomeni culturali più dirompenti della nostra epoca.
Rap. Una storia, due Americhe
Cesare Alemanni
minimum fax, 350 pp., 19 euro