Il rapper Junior Cally al Giffoni Film Festival 2019 (foto LaPresse)

Meglio chiudere la polemica su Junior Cally e provare ad ascoltarlo davvero

Stefano Pistolini

Aprire Sanremo ai rapper per poi escluderli. Bizzarro

Una questione bizzarra. Con l’intuito di chi naviga nell’industria musicale da mezzo secolo, Claudio Baglioni ha aperto le porte della kermesse sanremese prima a un avamposto, poi a una vera rappresentanza della musica che da un pezzo ascoltano i ragazzi italiani: rap, trap e dintorni. Del resto anche a X-Factor le cose erano andate allo stesso modo: gli autori avevano capito che era inutile continuare a mandare in scena una descrizione della musica leggera italiana che avesse poco a che fare con ciò che consideravano tale i potenziali consumatori del programma. L’avvento di Fedez nella giuria è stato importante, seguito dalle apparizioni di J-Ax, Achille Lauro, Sfera Ebbasta. E Sanremo non poteva stare a guardare: la figura che ci faceva era miserevole, come quella di chi non viene invitato alla festa e sbircia dai vetri della finestra. E l’effetto c’è stato, dirompente: Mahmood che vince il festival, Achille che diventa una popstar istantanea, altri, come Rancore, che vedono decollare una carriera.

 

La sorpresa è stata capire che il mix reggeva, che una vetrina nella quale si alternavano prodotti della tradizione, discendenze cantautorali e suoni delle nuove tendenze era credibile e somigliava più di prima a uno specchio della scena musicale e del gusto di consumo del nostro pubblico. L’altra conseguenza, accolta in chiave miracolistica, è stata di restituire al Festival di Sanremo un appeal presso un pubblico in larga parte perduto, quello coincidente con le scelte musicali a cui adesso si dava finalmente spazio al teatro Ariston. E Sanremo tornava a essere un obiettivo anche per questi artisti, oltre che uno show degno di considerazione, per chi li segue. Tutto tardivo, ma apprezzabile, se si pensa alle titubanze con cui la Rai ha sempre soppesato le possibili metamorfosi del Festival. 

 

 

Quest’anno, con la direzione artistica di Amadeus, si è proseguito su quella strada: non dico che ci sia stata attenzione a 360 gradi su ciò che è in circolazione nel pop italiano, ma almeno a 300 gradi sì, e nell’elenco degli invitati ecco una torma di rapper/trapper, perché è il suono del momento e che Mahmood sia diventato famoso e abbia sfiorato il successo all’Eurofestival non fa che confermare la cosa. Il fatto è che il cambio di direzione artistica nella manifestazione ha alzato i livelli di attenzione verso i comportamenti del nuovo arrivato. Le gaffe di Amadeus in occasione della conferenza stampa hanno fatto il resto. Il suo goffo tentativo di introdurre con lo charme d’un conduttore classico le presenze femminili ha fatto la frittata e sono piovute le accuse di “frasi sessiste”. Amadeus è finito sotto attacco e anche dal fronte rap sono arrivate prese di distanza irrevocabili, come il ritiro di Salmo, previsto come ospite speciale. Il passo successivo a questa delegittimazione è stato l’andare a frugare tra le scelte del direttore artistico. Qui è successo l’assurdo: i cacciatori di scandali hanno cominciato a strombazzare ciò che sanno benissimo coloro che almeno sentono risuonare questa musica, ovvero che rap e trap sono scorrettissimi, politicamente, sessualmente, eticamente costellati di cose bruttissime come la droga e la violenza, sebbene parlino anche di moltissime altre cose, più seriamente e più credibilmente. 

 

 

Il rap, con poche eccezioni, lascia fluire l’immaginario degli autori senza regole e censure, mettendo allo scoperto molta poesia, ma anche una quantità industriale di materia “indicibile” per chi vuole colpevolizzare. Nel repertorio di ogni rapper ci sono pezzi nei quali si va “oltre” – bisogna vedere “oltre” cosa, e se parliamo di pubblica decenza, cosa sia questa decenza e cosa nasconda la dizione “per famiglie”. Adesso il rapper Junior Cally, che in repertorio ha dei testi “indecenti”, è finito sotto accusa e la sua partecipazione è in forse. È un errore clamoroso, una decimazione ingiustificata, la rimessa in discussione di un tentativo di comunicazione intergenerazionale che aveva un suo peso, anche se non ci illudiamo che a Sanremo si risolvono i gap. Non è il 28enne di Focene e la sua ingenua maschera a finire alla berlina: è un intero linguaggio, un modo di rappresentarsi, un campionario di desideri e frustrazioni. Lo si può escludere dal Festival, così non certo cancellandone l’esistenza, ma esaltandone la differenza. Si può fare un Festival senza. Un Festival fino a lì. Chi suona questa musica ed è in programma a Sanremo, a questo punto dovrebbe valutare se restare o sentirsi discriminato. Si può rifare un Festival di vent’anni fa, lontano dalla realtà, e fuori dal mondo, almeno della musica. Oppure chiudere l’incidente, contenere quest’impulso irrefrenabile di giudizio, eccitato da isterismi e pressapochismi. Provare a capire, fare i conti con le diversità. Non escludere. Ascoltare.

Di più su questi argomenti: