Dario Bellezza (foto LaPresse)

La vita di Dario Bellezza sovrapposta alla sua opera

Daniele Mencarelli

Il sesso come antidoto fugace al dolore, lo svuotamento come indizio di pace, breve, brevissima

“Mi accorgo inseguendo una oscura / sagoma di quanto tempo sprecato / la vita mi consegnò nascendo / più vivo degli altri umani, solo / e chiaro celeste in un terrestre mondo”.

 

Affamato di corpi e di vita, provocatorio e fragile, maledetto come pochi altri, questo era Dario Bellezza. Un poeta ancora oggi zavorrato da etichette errate e superficiali, in realtà semplicemente estraneo a quella borghesia letteraria che ha tracciato la via maestra del nostro Novecento e che domina tutt’oggi.

 

Dario Bellezza nasce a Roma, Trastevere per la precisione, il 5 settembre del 1944. Lo si tenga a mente questo dato, perché Dario non era uno dei tanti artisti adottati dalla Capitale negli anni in cui si considerava ombelico del mondo, no, Dario era romano, in lui, naturalmente, conviveva la Suburra e l’ombra della Cupola più alta, il vizio dei corpi di strada e la fede secolarizzata della chiesa cattolica. Proprio in questo, apparente, ossimoro vive tutta l’opera e non meno la vita di Bellezza.

 

Tra amplessi e rimorsi, sotto un cielo che non si nega alla trascendenza, a Dio, o alla sua terribile negazione.

 

Dario vive a Monteverde, in lui il fuoco della scrittura si palesa che è ancora adolescente, già diverso, già reietto, quando l’omosessualità era davvero un tabù sociale e familiare inscalfibile. Soffre al giudizio del mondo, per questo comincia a fuggire, dalla famiglia, da ogni esistenza regolare, borghese. E’ ancora giovane quando conosce la compagna, forse l’unica, che gli starà accanto per sempre: la precarietà, in primis economica, ma anche affettiva, amorosa.

 

Il 1968 si rivela per il ventiquattrenne Bellezza un anno cruciale. Conosce Enzo Siciliano, su Nuovi Argomenti appare una sua selezione di versi, sempre nello stesso anno ecco comparire nella sua vita l’astro gigantesco di Pier Paolo Pasolini.

  

Dario e Pier Paolo diventano amici, di più, Dario inizia a lavorare per Pier Paolo, ne diviene collaboratore e confidente, compagno di strada, tra incontri letterari e fughe notturne, dai salotti della buonissima borghesia romana alle borgate delle marchette, dagli amati ragazzi di vita.

 

Nel 1971 esce “Invettive e Licenze”, Pasolini saluta questo libro come l’opera del miglior poeta della sua generazione, il libro non passa inosservato: anche pubblico e critica si accorgono delle qualità poetiche di Bellezza. Dario, sulla scia di questo successo, prova a radicarsi, a diventare grande: prende casa vicino a Campo de’ Fiori, questo luogo diventerà custode della sua produzione letteraria e di tutta la sua esistenza.

 

Ma non c’è tentativo che tenga, non c’è normalità da conquistare, perché Dario dentro di sé ha una bestia che latra, una bestia che ha bisogno dell’altro da sé come dell’aria, e questa smania lo spinge, di notte in notte, a cercare sempre la stessa tregua, sempre momentanea. Il sesso come antidoto fugace al dolore, lo svuotamento come indizio di pace, breve, brevissima.

 

La morte di Pasolini, il 2 novembre del 1975, coglie la società letteraria frontalmente, Dario, che nel frattempo ha legato con le grandi eminenze che in quegli anni orbitavano attorno a Roma, da Penna a Palazzeschi, dalla Ortese alla Morante, resta sconvolto innanzi a quella morte così violenta e simbolica. Perché Pasolini poteva morire solo a Ostia, un nome come un sigillo, il corpo che si fa dono. Tutti elementi drammaticamente vivi anche nel cuore di Bellezza, che inizia, come fanno gli artisti veri, spesso veggenti loro malgrado, a scorgere il proprio orizzonte tragico.

   

Nel 1976 esce “Morte Segreta”, uno dei libri più belli del secondo Novecento italiano, con cui Dario vincerà il premio Viareggio. La summa di tutta la produzione bellezziana, un meraviglioso atto di resa, una poesia scarna, struggente, dove pena e amore si rincorrono. Morte segreta, rappresenta un approdo, di certo non esistenziale, ma senz’altro poetico, un libro dove il poeta guarda, per utilizzare le parole di Sbarbaro con occhi asciutti se stesso, senza pietà, senza indulgenza alcuna. Dario continua a scrivere, si dedica con successo a teatro e prosa, ma qualcosa della sua città non sembra più in grado di soddisfarlo. Roma sta cambiando. Sotto la spinta del benessere economico i quartieri si trasformano, le borgate diventano altro. Per questo decide di andarsene, si trasferisce in Basilicata, dove l’innocenza dei cuori è ancora percepibile negli occhi delle persone. Dario anche in questa fase è molto prolifico ma, nell’ombra, qualcosa dentro di lui lo sta divorando, e non è la fame di vita che lo abita da sempre, nemmeno la smania sessuale, bestialmente compiuta.

  

L’Aids si abbatte sul mondo di Bellezza, stermina senza pietà, e lui non si tira indietro. Muore il 31 marzo del 1996 dopo lunga malattia, accanto alla fedele povertà. Una morte uguale a tutta la sua vita, sfrontata, coraggiosa e sincera. Vita meravigliosamente sovrapposta alla sua opera, come si conviene agli artisti degni di questo nome. Tutte qualità che i mediocri della nostra letteratura scambiarono per difetti.

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