Emily Brontë

Simonetta Sciandivasci

Paola Tonussi
Salerno, 408 pp., 29 euro

Charlotte la descriveva così: “Più forte di un uomo, più semplice di un bambino”. Lo fece per tutta la vita: cercare di restituire un’immagine fedele e tuttavia non leale, in fondo digeribile e perdonabile, di sua sorella, Emily Brontë, la prima a cui pensiamo quando parliamo delle sorelle Brontë (tutte scrittrici, tre su tre, gli altri fratelli maschi scrissero soprattutto da piccoli e furono infelici, uno di loro morì alcolizzato, tremante, dipendente dall’oppio). Emily era difficile, selvatica, poetica, intensa, rabbiosa. Rabbiosa in modo incontrollabile. E quando lo capì, e vide che quel tumulto era un’eredità paterna, scelse di non arginarlo, farlo esplodere, farne scrittura. La sola forma di tutela che riservò a se stessa per ripararsi nella tempesta in cui la rabbia la gettava, e per non annegare nella fatica del ritorno a riva dalla deriva, fu questa: dedicarsi agli animali, alla natura e ad Anne, la sorella più debole. Per il resto, si mise a servizio di ciò che la metteva in pericolo, per scrivere, e per scriverne. Capirete la preoccupazione di sua sorella, che la vedeva scomparire, vacillare, e temeva che quel modo d’essere integerrimo e intransigente le inquinasse la scrittura, la polarizzasse e, in definitiva, la stremasse. Nessuno dei Brontë avrebbe immaginato che Cime Tempestose, l’unico romanzo di Emily, sarebbe diventato uno dei capolavori della letteratura inglese, e poi mondiale, di quelli da cui si traggono film inferiori al libro ma comunque belli, perdibili ma di fatto imperdibili (lo abbiamo visto tutti “Wuthering Heights” di Andrea Arnold). In questo saggio su Emily, Paola Tonussi ha scritto molto di come e quanto Charlotte abbia cercato di esortare i lettori, il mondo intero, ad amare sua sorella, avendone capito il valore, ma forse non la volontà, il desiderio, tanto da diventare, a lungo, una delle maggiori responsabili della sbagliata ricezione di Cime Tempestose, che per molti anni fu preso come un romanzetto e non come l’opera assoluta che è, il lavoro di una vita della scrittrice del vento, e della perdita, e della ricerca della felicità nell’eterno, e quindi dell’infelicità come colpa e non inevitabile sciagura o condizione umana. Nella prefazione che Charlotte scrisse a Cime Tempestose, evidenzia Tonussi che c’era la summa del “processo d’ingentilimento” a cui sottopose sua sorella, dando ai lettori “un’immagine falsata”. Tuttavia, Emily è arrivata a noi, e a molti prima di noi, nella sua cruda meraviglia, pertanto questo saggio non mira a salvare un’opera che s’è salvata da sola, ma a raccontarci cosa possono diventare i sodalizi, cos’erano le famiglie dell’Inghilterra della prima metà dell’Ottocento, come si fa a ricostruire la vita di un scrittrice che di scritto lasciò solo un romanzo e qualche biglietto di auguri in francese. La più grande di tutte, sull’amore, sebbene il suo “arcipelago di cuori” fosse fatto di case, istituti, canoniche, mura quasi sempre domestiche, e che seppe scrivere: “Il mio amore per Heathcliff somiglia alle rocce nascoste ed immutabili; dà poca gioia apparente ma è necessario”. 

 

Emily Brontë
Paola Tonussi
Salerno, 408 pp., 29 euro

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