I grandi ammiragli dell'età velica

Roberto Persico

Angelo Savoretti, Odoya, 478 pp., 24 euro

Dopo il primo volume, dedicato al tempo in cui la faceva da padrone il remo, Angelo Savoretti prosegue la sua rassegna raccontando le vicende dei protagonisti dell’epoca della vela. Tra gli inizi del Cinquecento e la fine dell’Ottocento infatti i mari sono il regno dei grandi velieri, poderose macchine da guerra in grado di reggere le più violente tempeste, di stivare grandi quantità di merci, di imbarcare centinaia di cannoni sempre più micidiali; e in questi secoli gli scontri sul mare hanno determinato le svolte fondamentali della storia, secondo l’aforisma di Walter Raleigh, il fondatore della prima colonia inglese in America settentrionale: “Chi controlla i mari, controlla i commerci; chi controlla i commerci, controlla le ricchezze del mondo; chi controlla le ricchezze del mondo, controlla il mondo”.

 

Tra i protagonisti di queste lotte ci sono naturalmente nomi celeberrimi, come Francis Drake e Horace Nelson; accanto a loro però prendono vita altre figure, meno note al grande pubblico ma ugualmente determinanti nella storia degli scontri navali. Troviamo per esempio Robert Blake, figlio di un mercante, fervente puritano, uno dei protagonisti della guerra civile inglese. E’ a lui che nel 1649 Oliver Cromwell affida il riordino della marina militare, trascurata negli anni incerti del conflitto; così Blake, all’età di quasi cinquant’anni, per la prima volta sale su una nave come comandante. Nominato quindi capo supremo della flotta del Mediterraneo, negli anni successivi forza la piazzaforte turca di Tunisi, sgomina le attività dei pirati barbareschi e pone le basi del dominio inglese sul Mediterraneo che durerà fino al Novecento; mentre le sue indicazioni, sintetizzate nelle “Sailing instructions” e nelle “Fighting instructions”, diventeranno la base delle tattiche della Royal Navy per tutta l’epoca delle navi a vela. Oppure troviamo François De Grasse, ammiraglio della marina francese, che ebbe un ruolo decisivo nella guerra d’indipendenza americana, perché – bloccando nel 1781 a Chesapeake Bay la flotta inglese che portava rinforzi alle truppe britanniche – rese possibile la vittoria di Washington a Yorktown. Considerato per questo negli States un eroe, finì invece in Francia in disgrazia per la sconfitta a Les Saints dell’anno successivo. Accanto a lui gli americani collocano John Paul Jones, scozzese, rifugiato in America dopo aver ucciso un marinaio, cresciuto come pirata, passato al servizio della zarina Caterina, vincitore dei turchi nel Mar Nero, costretto a lasciare la flotta russa per l’invidia degli altri ufficiali. Rientrato negli Stati Uniti ormai indipendenti, divenne l’organizzatore della loro flotta. E così via: olandesi e danesi, vincitori e sconfitti, santi – Fiodor Ushakov è stato canonizzato dalla chiesa ortodossa – e poco di buono – l’inglese George Rodney era celebre per il nepotismo e le perdite al gioco –, sfilano insieme i ritratti di uomini che hanno avuto nelle vicende della storia moderna un ruolo non di rado decisivo.

  

I grandi ammiragli dell’età velica
Angelo Savoretti
Odoya, 478 pp., 24 euro

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