"Harvey", di James Stewart, 1950

Caro Sofri, ti presento Harvey, il veleno che inganna noi scrittori deboli e frivoli

Marco Archetti

E’ contro la logica, vivere questa vita contro se stessi. Ma va così, e l’unico modo di resistere è vantarcene, spacconare, e farci forza di tutta la nostra immensa debolezza

"Non ho più un minuto libero. Vado con Harvey nei bar, beviamo qualcosa, ascoltiamo la pianola, allora i visi di tutta quanta la gente si voltano verso di me e sorridono, e poi dicono: ‘Noi non vi conosciamo amico, ma siete un gran simpaticone’. Harvey e io ci sentiamo come riscaldati, in quei momenti: siamo entrati come estranei e ci troviamo tra amici. Ci vengono vicino, si siedono, beviamo insieme e parlano con noi, ci dicono delle immense e terribili cose che hanno fatto, delle immense e stupende cose che faranno. Le speranze, i rimpianti, gli amori, le avversioni, tutto è immenso, perché nessun uomo porta mai niente di piccolo in un bar. Infine io li presento ad Harvey, e lui è più grande di qualsiasi cosa che gli altri offrano a me, e quando se ne vanno sono molto impressionati. Difficilmente si fanno rivedere… Questa è invidia, miei cari. L’invidia alberga anche negli uomini migliori, ed è un peccato".

  

Caro Luca Sofri, avrei voluto risponderti prima, ma Harvey non me l’ha permesso. Poi ieri abbiamo riletto il tuo pezzo, quello pubblicato il 2 gennaio e che hai intitolato “L’illusione dello scrittore”, e ci siamo detti che non potevamo più rimandare. Per prima cosa abbiamo deciso di citare questo monologo tratto dal film “Harvey” con James Stewart, ce l’hai presente? E’ bellissimo e dice tutto, così adesso siamo qui e non abbiamo nulla da aggiungere, perché quel che tu dici è vero: chiunque scriva un libro si aspetta che dalla sua pubblicazione deriverà chissà cosa, e regolarmente non ne deriva niente, le speranze sono sempre tradite, la carta si fa straccia, le tue pagine se le ingoia un reso, il metabolismo del destino editoriale non conosce pietà e la vita continua come prima. Però, vedi… non proprio. La vita, paradossalmente, si fa più infervorata. Più eccitata. Più ricattata dall’aspettativa. Perché la delusione nutre Harvey, e Harvey nutre noi. Stupidi, questi scrittori? Sì. Ma soprattutto soli. Del resto sarebbe impossibile tenerci compagnia l’un l’altro, siamo tutti sordi. Dentro di noi, ogni giorno, sfilano vagoni e vagoni di parole che ci fischiano nelle orecchie. Dovresti essere lì anche tu, seduto ad ascoltare Harvey, quando ci parla, ci persuade e ci dice che la prossima volta sarà quella giusta – quando, in altre parole, ci avvelena. Infatti, ogni volta che andiamo nei bar e troviamo qualcun altro come noi, ci riconosciamo, allora scambiamo due parole e tre convenevoli, poi ognuno presenta il suo Harvey e lo sai a quel punto cosa devi sperare? Che l’Harvey di qualcun altro non sia migliore del tuo. Caro Luca, non ridere. E’ incomprensibile, vero? E’ contro la logica, vivere questa vita contro se stessi. Ma va così, e l’unico modo di resistere è vantarcene, spacconare, e farci forza di tutta la nostra immensa debolezza, perché noi non usciamo mai dall’intimità di noi stessi con qualcosa di piccolo. Chissà cosa pensano gli altri, quando ci vedono per ciò che siamo. Chissà se si immaginano questi nostri lunghi, stravaganti dialoghi con Harvey. Chissà se conoscono questo fuoco che produce altra legna, questa medicina che produce malattia. Harvey, intanto, ci sussurra: “Presto la tua vita sarà meno grama…”. Così tiriamo dritto, e la ragione più stupida per farlo è l’unica in nome della quale alla fine lo facciamo. Conosciamo perfettamente la nostra viltà, è nostra complice veniale, l’unica complice che non ci rimprovera qualcosa (perché noi i rimproveri li sentiamo anche se non ce li fanno, e sappiamo bene che è assurdo vivere per Harvey, però sappiamo anche un’altra cosa: che sarebbe più assurdo vivere senza).

 

Ogni tanto, caro Luca, mi chiedo se, un giorno, guardandomi indietro, avrò la risposta alla domanda che mi fa più paura, questa: “Ne è valsa la pena?”. Qualunque sarà la risposta, spero che in quel momento Harvey sarà al mio fianco. Io avrò vissuto per Harvey, ma Harvey avrà vissuto per me? Eppure, non so come spiegarti, ma io sento una gratitudine enorme... E’ stato così bello passeggiare con Harvey, ridere con lui, lasciarmi ingannare. Mi ha mentito spesso, è vero, e con gli anni mi racconta balle via via meno affascinanti, ma io continuo a volergli bene e ad aver bisogno di lui. Perché sono debole. Perché sono frivolo. E Harvey è stata la mia unica possibilità di vivere senza lo sgomento di chiedermi cos’era vivere. Non ridere di queste mie parole, in fondo la sto facendo più grossa di quel che è affinché tu possa credere almeno a un decimo di quel che dico. E poi non temere: sono un malato molto felice. Uno che – per dirla come Čechov alla sorella – “tossisce, si gratta l’orticaria, ma sta bene”.

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