Vecchio uomo bianco, pentiti!
Oggi assistiamo all’inversione del “fardello dell’uomo bianco” di Kipling. Siamo impegnati a espiare ogni cosa buona che ha fatto la nostra civiltà
“Negli scorsi anni, abbiamo visto scene iconiche e disturbanti di migranti che tentavano di raggiungere l’Unione europea lasciandosi alle spalle il mondo in via di sviluppo. Particolarmente strazianti sono le immagini di giovani provenienti dall’africa subsahariana che tentano di superare le barriere di recinzione che circondano le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco”, scrive Rumy Hasan su Quillette. “Tralasciando per un attimo il dibattito riguardo la restituzione o meno di queste enclavi al Marocco da parte della Spagna, la determinazione dei migranti nel raggiungere l’Europa è sorprendente. Quei profughi sono entrati illegalmente in Marocco e da lì possono raggiungere illegalmente un altro paese, quasi certamente con la tacita approvazione delle autorità marocchine. A colpire è anche la visione di giovani che gridano ‘libertà’ e si avvolgono nella bandiera dell’Unione europea non appena raggiungono queste enclavi. In realtà, loro sono tutt’altro che liberi, visto che è altamente improbabile che le autorità spagnole offrano loro asilo e il diritto di soggiorno. Se viene deciso che siano inquadrati come migranti economici illegali, saranno rimpatriati a tempo debito”.
Queste immagini, così dicono in molti, sono il simbolo dell’insensibilità europea. Altri, pochi, tendono a sottolineare che quelle stesse fotografie sono un’accusa nei confronti di chi governa le ex colonie europee, ormai indipendenti da diversi decenni. Possiamo dire apertamente, senza dare scandalo, che quasi senza eccezioni la governance postcoloniale è stata un disastro. C’è chi è convinto che la crisi dei migranti sia dovuta agli interventi occidentali nei paesi da cui molti fuggono. Ma ciò è falso. Mentre è vero che molti migranti provengono da luoghi come Afghanistan, Iraq e Libia. La maggior parte dei migranti fugge dalla guerra siriana, dove l’intervento occidentale è stato minimo. Per quanto riguarda la popolazione dell’Africa subsahariana, non cerca certo rifugio da un intervento militare occidentale. No. Gli africani scappano dalla corruzione, dalla povertà e dalla disoccupazione; problemi causati dalla loro classe dirigente. Prendiamo ad esempio lo Zimbabwe. A quarant’anni dall’indipendenza, l’economia del paese è a terra. A novembre del 2019 il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’alimentazione ha avvertito che il popolo dello Zimbabwe potrebbe in futuro soffrire la fame a causa dell’intervento dell’uomo, e non quindi per motivi naturali. Insomma, non è l’intervento occidentale a spingere i migranti fuori dai loro paesi; ed è verosimile che sempre più persone tenteranno di raggiungere l’Europa in futuro, visto che milioni di persone nate in paesi in via di sviluppo vivono già nell’Ue dove le loro prospettive sono migliorate sotto la guida di leader eletti democraticamente, e grazie a istituzioni efficienti e a leggi liberali.
“Il numero di persone che sperano un giorno di poter emigrare è davvero ampio: un sondaggio d’opinione condotto da Gallup nel dicembre del 2018 ha mostrato che 750 milioni di persone in tutto il mondo – il 10 per cento della popolazione mondiale – vogliono trasferirsi in modo permanente in un altro stato”, scrive Hasan. “Le destinazioni desiderate per la grande maggioranza sono, senza sorprese, l’Europa occidentale e l’America del nord. Mentre la più grossa percentuale di persone, intervistate tra il 2015 e il 2017 e intenzionate a emigrare (33 per cento), vive nell’Africa subsahariana. Per il 50esimo anniversario dell’indipendenza della Jamaica nel 2011, il quotidiano giamaicano The Gleaner riportò che uno sbalorditivo 60 per cento dei giamaicani riteneva che il paese sarebbe stato in una condizione migliore se fosse rimasto una colonia britannica. Al contrario, il 17 per cento degli intervistati ha affermato che il paese sarebbe peggiorato se fosse rimasto in mano alla Gran Bretagna, mentre il 23 per cento ha dichiarato di non saperlo”.
Si riscontrano le stesse opinioni nei paesi dove decenni di indipendenza non hanno prodotto molti progressi. I leader non occidentali, insomma, spesso non reggono il confronto con i colleghi europei. Si pensi al Premio Ibrahim, lanciato nel 2007 dal miliardario sudanese Mo Ibrahim. Un riconoscimento che può essere vinto da ex capi di stato o di governo africani giudicati in base a diversi criteri, tra cui: aver lasciato l’incarico negli ultimi tre anni; essere stati eletti democraticamente; e aver dimostrato una leadership eccezionale. Malgrado la cospicua somma derivante dalla vincita, negli anni 2009, 2010, 2012, 2013, 2015, 2016 e 2018 nessun premio è stato assegnato poiché nessun candidato aveva soddisfatto i requisiti.
Ma questi leader non solo non sono all’altezza del loro ruolo. E’ sconcertante il fatto che i governanti dei paesi da cui fuggono i migranti non si esprimano sulle tragedie che avvengono nel Mediterraneo, e non facciano alcuno sforzo per far rientrare in patria le salme dei morti in mare. I media occidentali parlano della crisi dei migranti come se fosse una crisi europea e si focalizzano sui fallimenti dei leader dell’Ue. I giornali e le televisioni europee, insomma, non interpellano i leader dei paesi da cui i migranti fuggono, né li condannano.
“Un’eccezione occasionale mostra quanto ciò potrebbe essere utile. Grazie a un’inchiesta della Cnn del 2017 che denunciava il traffico, tramite aste, di africani ridotti a schiavi, le autorità nigeriane hanno riportato in patria alcuni dei loro cittadini”, racconta Hasan. “La Nigeria è il più grande paese africano e vanta uno sviluppato settore petrolifero. Se gestita bene, potrebbe essere una nazione prosperosa. Invece, è stata messa in atto una dilapidazione della ricchezza petrolifera da parte di alcuni dei peggiori cleptocrati al mondo, che altrimenti avrebbero potuto contribuire al miglioramento degli standard di vita. E’ interessante chiedersi quale percentuale (una maggioranza?) della popolazione nigeriana crede che il proprio paese sarebbe migliore se fosse rimasto sotto il dominio britannico. Senza dubbio, un colonialista vittoriano affermerebbe in modo rozzo che ciò dimostrerebbe la validità di quello che Rudyard Kipling chiamava ‘il fardello dell’uomo bianco’. Il titolo completo del noto poema di Kipling del 1899 è ‘Il fardello dell’uomo bianco: gli Stati Uniti e le isole filippine’, ed è stato scritto nel tentativo di convincere gli Stati Uniti che gli uomini occidentali avevano la responsabilità morale di colonizzare e civilizzare le Filippine”.
Oggi assistiamo all’inversione di quella narrazione sull’uomo bianco. L’occidente non colonizza più gli altri paesi, ma è in dovere di accogliere tutti i migranti che supplicano l’uomo bianco di provvedere alla loro istruzione, alle cure mediche, al cibo; insomma, di assicurargli le basi di una vita felice che i loro governanti gli negano. I leader di questi stati fallimentari dovrebbero vergognarsi di questa situazione. Ma le nazioni occidentali non recriminano nulla a quei governanti, oppresse come sono dal peso della loro storia coloniale. E così l’auto-recriminazione non lascia posto alla visione critica della realtà e all’azione. Le motivazioni che spostano flussi incessanti di persone dal sud al nord del pianeta rimangono dunque velate.
Ma in Europa non tutti desiderano sopportare questo nuovo fardello dell’uomo bianco. In molti trovano quest’idea sbagliata e moralmente detestabile. Stanno così iniziando a eleggere politici che pensano la stessa cosa. Era inevitabile, visto il grande afflusso di immigrati, che si andassero a formare movimenti contro l’immigrazione di massa che promuovono tolleranza zero nei confronti dell’immigrazione illegale, capitanati da demagoghi populisti. Non è un caso, quindi, che i partiti che affrontano con enfasi questa tematica stiano guadagnando sempre più consensi.
“Tuttavia, per gli europei è anche moralmente sbagliato ignorare i problemi dei paesi in via di sviluppo che spingono in tanti a intraprendere un viaggio pericoloso verso una vita migliore”, scrive Hasan. “Non c’è alcuna facile soluzione disponibile, ma ciò che dovrebbe essere offerto è una prolungata consulenza e assistenza per aiutare a migliorare radicalmente l’autogoverno di stati falliti o in fallimento. Si è tentato di fare ciò in passato grazie agli aiuti esteri, ma i risultati sono stati disomogenei. In risposta al flusso migratorio, nel 2017 il ministro tedesco per lo Sviluppo economico e la cooperazione ha proposto un piano Marshall per l’Africa, che riconosce che gli africani stanno rischiando le loro vite per raggiungere l’Europa a causa della mancanza di sviluppo e di opportunità nei loro paesi, e afferma l’urgenza di intervenire in modo deciso su quelle realtà. Questo è stato un positivo e incoraggiante progresso. Ma altri paesi dell’Unione europea hanno manifestato scarso interesse e, anche se il progetto è solo agli inizi, non sono stati fatti sufficienti progressi. Se iniziative come questa vengono attuate con un’enfasi sul miglioramento della governance e sulla riduzione della corruzione, le prospettive di uno sviluppo duraturo e sostenibile per l’Africa e per il sud del mondo possono migliorare significativamente. Col tempo, si spera che ciò possa mettere fine al pericoloso viaggio dei migranti e all’oscenità nel nuovo fardello dell’uomo bianco”.
Un foglio internazionale