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Uffa!

L'America di Superman, votata alla difesa del bene e più forte della censura

Giampiero Mughini

"Americomics": 50 anni di fumetti a stelle e strisce. Da Superman, eroe che arriva a sconfiggere Hitler e Stalin, al ricco e violento Batman

Il portentoso Superman, uno dei personaggi della cultura popolare più esibiti del tempo nostro, e questo tanto nel cinema quanto sulla carta stampata, non poteva non nascere nell’America del Novecento. Dove nel giugno 1938 Superman apparve già sulla copertina del primo numero di un albo di storie a fumetti, Action Comics, cui da subito assicurò vendite imponenti, ed è una serie che continua tutt’oggi. Le storie di Superman – l’uomo di acciaio dalle cui spalle pendeva una mantella che gli fungeva più o meno da ali quando lui balzava prodigiosamente dal tetto di un edificio a un altro – le avevano ideate due giovani autori americani già prodighi di narrazioni a fumetti, Jerry Siegel e Joe Shuster.

Ma era stato soprattutto Vin Sullivan, l’aguzzo art director della casa editrice, a volere puntare a ogni costo su quelle storie perché era un personaggio diverso da tutti gli altri e perché c’era così tanta azione nelle vicende di cui era protagonista. I ragazzi americani all’edicola non chiedevano l’albo Action Comics, bensì “quel comic book con il superuomo in copertina”. A tutta prima, Siegel e Shuster nell’ideare questo personaggio avevano pensato di farne una sorta di spietato cattivone, per poi decidere invece di farne un eroe del bene. La cui forza fisica impareggiabile cresceva da un albo all’altro. Superman comincia la saga della sua super forza col sollevare un’auto da scagliare contro i nemici, laddove in un albo successivo stoppa con un solo braccio un treno lanciato a grande velocità. Nel 1941 l’albo con le sue gesta era arrivato a tirare in America 900 mila copie a botta. Non che Superman si tragga indietro quando si avvicina e poi scoppia la Seconda Guerra mondiale. Ancor prima dell’attacco giapponese a Pearl Harbor, è andato ad acciuffare prima Hitler e poi Stalin, e se li è trascinati a Ginevra, al Palazzo della Società delle Nazioni, dove li ha fatti condannare entrambi “per crimini di guerra”.

Sto scopiazzando indecentemente da Americomics (Luni Editrice, 2023), quest’ultimo e ciclopico libro partorito da una bottega artigiana di Rovereto tra le più feconde d’Italia editorialmente parlando, ovvero la casa/museo dello storico e collezionista d’arte Maurizio Scudiero (nato nel 1954). Straricca di immagini, Americomics è la “maxi storia” dei fumetti americani che dal 1900 al 1950 hanno segnato la vicenda di una delle arti essenziali al Novecento e dunque del nostro immaginario diffuso. Tra saggi e cataloghi di mostre, è pressapoco la duecentesima pubblicazione di Scudiero, uno che non riuscite a leggere per intero un suo libro che già ve ne piomba addosso un altro. E difatti ho qui sulla mia scrivania purtroppo ancora intonso un suo precedente e altrettanto ciclopico volume pubblicato nel 2023, Arte postale futurista, edito anch’esso dalla Luni. La volta che ero stato a casa sua, Maurizio non faceva che estrarre da ogni ripostiglio tavole originali di fumetti, fotografie, incisioni grafiche. In qualche occasione siamo stati l’uno di fianco all’altro nel vantare la creatività del Novecento, ad esempio in occasione dell’inaugurazione una ventina d’anni fa di una mostra di disegni di Fortunato Depero (di cui Scudiero è il maggiore studioso italiano), io e lui avvolti nei due leggendari gilet firmati da Depero e di proprietà del gallerista di Rovereto che aveva organizzato la mostra.

C’è che il successo di Superman lascia spazio nell’America degli ultimi Trenta a un ulteriore personaggio strapotente nella difesa del bene, ed ecco che nel maggio 1939 sul numero 27 dell’albo Detective Comics fa la sua prima comparsa Batman, ossia “L’uomo pipistrello”, un ricco industriale americano (disegnato inizialmente da Bob Kane) che ha giurato di fargliela pagare cara ai criminali che avevano ucciso i suoi genitori. Non che Batman avesse dei superpoteri, ma di soldi ne poteva spendere quanti ne voleva e poi ci sapeva fare nel dare addosso ai poco di buono. L’invenzione di questo personaggio se ne trascina appresso altri due, Catwoman e Joker, e innanzitutto un ragazzo giovane, Robin, the boy wonder. Quest’ultimo è un sorta di partner di Batman, un suo giovane aiuto, uno che doveva fare da esca ai lettori più giovani e che dal punto di vista delle vendite ci riuscì a meraviglia, tanto da avere più tardi l’onore di una serie a fumetti di cui era lui il protagonista. Solo che, segnata com’è da quella particolare caccia alle streghe che ebbe nome “maccartismo”, l’opinione media del pubblico americano nel secondo Dopoguerra s’era fatta angusta, sospettosa. In molti ci vedono del losco, ossia una coloritura omosessuale, nel rapporto tra Batman e il suo giovane allievo. I fumetti in quanto tali vengono messi sul banco degli imputati, accusati di far del male alle giovani generazioni, a cominciare da quelle loro copertine zeppe di fanciulle poco vestite di cui il libro di Scudiero ci delizia.

Nel 1954 esce negli Stati Uniti il libro dello psichiatra di New York Fredric Wertham che prende a bersaglio i fumetti e il cui titolo è inequivocabile, Seduction of innocence. Wertham accusava indiscriminatamente i comics “di minare la morale, glorificare la violenza, e di essere sessualmente aggressivi”. Si fece strada negli Stati Uniti l’idea che ci fosse un nesso tra il crescere della diffusione degli albi a fumetti e il crescere della delinquenza minorile. Nei cortili delle scuole americane, racconta Scudiero, più e più volte tra il 1945 e il 1955 degli albi a fumetti vennero bruciati a migliaia alla volta. Era paradossale che ciò accadesse in un paese che aveva mandato i suoi figli a morire sulle spiagge della Normandia, e questo pur di cacciare dalle capitali europee quei nazisti esperti di roghi di libri. Per fortuna si alzarono in molti, negli Stati Uniti, a denunciare la dissennatezza di una tale campagna.

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