(foto Olycom)

Uffa!

Un panama bianco sui sentieri desolati d'America. Paesaggi con Mari

Giampiero Mughini

Fotografia. Un libro di Giovanna Silva, con un Mari al suo primo viaggio in America, e la mostra di Basilico

C’è che ho contratto un debito non da poco con l’artista ed editore Michele Lombardelli (nato a Cremona nel 1968). Un paio di mesi fa me ne stavo difatti rincantucciato nella stanzetta di Cinecittà, dove sorge la Casa del “Grande Fratello”, quando da casa mia mi arrivarono un mucchietto di libri delle edizioni piacentine curate da Lombardelli, uno che il mestiere di editore lo aveva imparato dal grande Vanni Scheiwiller. Erano libri che avevano tutti un’aria assieme prelibata e spartana.

Più di ogni altro quello datato 2021 e sul cui titolo in inglese – Desertions with Enzo Mari in America – compariva il nome di Enzo Mari, un nome al cui fascino mai riesco a sottrarmi. Era in buona sostanza un libro di fotografie (a colori) scattate dall’agguerritissima fotografa milanese Giovanna Silva lungo i sentieri inusuali e abbandonati (“disertati” a voler tradurre il termine inglese che fungeva da titolo) di un’America che s’erano dati a percorrere in auto in tre, la fotografa, lo scrittore torinese Gianluigi Ricuperati (nato nel 1977), e un Mari il cui magnifico panama bianco interrompeva di tanto in tanto la catena delle foto che andavano rastrellando quel così tanto di desolazione. Un Mari che era al suo primo viaggio in America e che ce l’aveva scritto in volto di non sapere una sola parola di inglese. Di più, che ce l’aveva scritto in volto quanto fosse ammirato dalla sequenza di immagini che loro tre stavano pedinando una a una, e di cui a mia volta andavo sbalordendo. Non fosse che il libro che tenevo in mano con dita che s’erano fatte di velluto non era la prima edizione di quel gioiello. Sicché, appena uscito dalla stanzuccia di Cinecittà, ho subito scritto a Lombardelli dicendogli che volentieri gli avrei pagato un esemplare della prima edizione, quella in 500 copie che portava la data del 2009. Al che Lombardelli me lo ha mandato in regalo, da cui il mio debito nei suoi confronti che spero compensare alla prima occasione. E tanto più che questa prima edizione è un tutt’altro libro, a cominciare dal fatto che è di un formato nettamente più grande – e dunque propizio a una resa qualitativamente maggiore delle foto pubblicate – e che il 90 per cento di queste foto vi è in bianco e nero. E senza dire, tanto per restare in tema di libri di fotografia, che in codeste edizioni Humboldt Books del nostro Lombardelli (uno che ha vissuto a lungo a Los Angeles) figura un sontuoso California, anch’esso una sorta di viaggio in quegli States le cui valenze non siamo mai sazi di scovare, libro che al suo uscire venne identificato come uno dei più bei libri di fotografia del 2020.

E siccome nelle cose delle nostre vite c’è un destino, una sorta di progetto segreto che le lega le une alle altre, proprio in questi giorni ho avuto in regalo il catalogo della strepitosa mostra con la quale la Triennale di Milano ha inteso onorare Gabriele Basilico (nato a Milano nel 1944, morto nel 2013), ossia uno che sta ai vertici assoluti della fotografia italiana di questi ultimi anni. Ora se c’è uno che ha saputo visitare i paesaggi urbani della nostra epoca e scandire fotograficamente tutto ciò che li aveva “disertati”, tutto ciò che s’era sfranto ed era andato via e non sarebbe tornato mai più, a cominciare da quelle sue foto di una Beirut del 1991, di una città che un tempo passava come la Parigi del medio oriente e che è poi divenuta il teatro delle più devastanti distruzioni successive alla Seconda guerra mondiale, ebbene quello è senz’altro Basilico. La sento come un fitta al cuore il fatto di non averlo mai incontrato di persona e di non avere mai tastato da vicino il suo lavoro, al punto da non avere nella mia collezione neppure una sua foto vintage. Quelle sue sagome urbane le guardavo affisse ai muri delle mostre e mi chiedevo dove mai avrei potuto esporle a casa mia, maestose com’erano, raggelanti com’erano, mai un essere umano che ne disturbasse la drammatica geometria. Erano soltanto mattoni limati dal tempo, ma quanto ci raccontavano.

E dato che siamo qui ad elogiare i libri di fotografie, dopo aver fatto trenta facciamo trentuno. A dirvi di un libro che avevo individuato in un catalogo antiquario, un album di fotografie scattate a Yoko Ono dal fotografo americano Bob Gruen (SEE HEAR YOKO il titolo del libro) che ho subito comprato da quanto tutto mi cattura del destino di John Lennon, a cominciare dalla sua morte (New York, 8 dicembre 1980) a opera di un suo fan, il venticinquenne Mark David Chapman, che per un giorno volle essere altrettanto famoso. E difatti di quell’album sono ai miei occhi particolarmente toccanti le foto scattate alla coppia Ono-Lennon nei giorni immediatamente precedenti l’assassinio. Loro due in una strada di New York all’uscita di un concerto di Lennon. I due che si abbracciano focosissimi innanzi a una gigantesca chitarra appena scolpita da Lennon.

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