Parla, Vladimir

Il Superman di Nabokov

I versi rifiutati, i dubbi su una lingua non sua, i primi passi incompresi dello scrittore in un terreno letterario che lo avrebbe reso grande

Micol Flammini

Sul Times Literary Supplement una poesia inedita dello scrittore russo sul supereroe. Nel 1942 venne giudicata troppo spinta dal New Yorker, rimase in una cartella per ottant'anni fino al suo ritrovamento a Yale. Il Clark Kent troppo uomo, che nei versi diventa un Amleto 

E’ uscita sul Times Literary Supplement una poesia inedita di Vladimir Nabokov, ritrovata a Yale da Andrei Babikov, traduttore, scrittore e studioso di letteratura russa. 

 

Nel 1942, davanti a una copertina tutta gialla del numero 16 del fumetto di Superman, a Vladimir Nabokov venne in mente una poesia dal titolo “The Man of To-morrow Lament”, il lamento dell’uomo di domani, o fino a domani. Nabokov mandò la poesia al New Yorker che gli fece sapere che non era adatta al suo pubblico, “crediamo non la capirebbero”, gli disse Charles Pearce, capo della sezione poesie della rivista americana. Gli ostacoli erano due, uno dichiarato, l’altro meno. Il primo: “e poi c’è quel problema a metà poesia di cui parlava lei stesso nella sua lettera”. Nei versi centrali del componimento, come aveva segnalato lo stesso Nabokov, c’erano dei riferimenti vagamente erotici, che il New Yorker valutò come troppo espliciti. Davanti alla sua Lois Lane, Superman si fa domande sul senso del matrimonio, “un delitto, un terremoto che rovina la notte delle notti, la vita di una donna”. Ma i versi che vengono valutati dal New Yorker come troppo spinti per il suo pubblico, in realtà delicati, morbidamente allusivi, sono: “Ma anche se quell’esplosione di amore risparmiasse il suo fisico, quale mostruoso bambino … si precipiterebbe nella città sbalordita?”. 

 

Nella lettera a Pearce, Nabokov racconta anche delle “più orribili difficoltà e angoscia nel maneggiare una lingua nuova per lui”, che in realtà del tutto nuova non era, lo scrittore la parlava sin dall’infanzia. Il suo errore Pearce non lo colse subito, Nabokov era ancora uno scrittore da scoprire, ma in quella poesia, in un Superman non superomistico, pieno di dubbi, terribilmente umanizzato, c’era anche tutto il mondo che lo scrittore si sarebbe trascinato dietro nei suoi libri. Quell’eroe poco eroe –  rappresentato sulla copertina del fumetto che ne ispirò la poesia su una statua, a fianco gli passano Lois Lane che sospira a Clark Kent: “O Clark, non è magnifico?!” – che sente il peso di non “essere un uomo normale” è anche uno dei primi scontri culturali tra lo scrittore e l’America, una terra che ha amato tanto e che nei suoi libri non smette mai di ringraziare. L’America e Nabokov poi si integreranno, diventeranno l’uno parte dell’altro. Ma già i quei versi, il Clark Kent dolente – che indossa gli occhiali “perché altrimenti quando la accarezzo con i miei occhi super, i suoi polmoni e il suo fegato di vedono troppo chiaramente, pulsano” – si apre il petto, si toglie il supereroe e mostra l’uomo, diventa un Amleto. 

 

Come scrive Babikov nell'introdurre l’opera sul Times Literary Supplement, questa poesia è rimasta in una cartella per più di ottant’anni e il New Yorker perse l’occasione di pubblicare i primi versi al mondo dedicati al supereroe, ora è pronta a esplodere, a lanciarsi, “come avrebbe fatto lo stesso Superman, per vedere la luce del giorno”.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.