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uffa!

Addio a Toni Pinna. Giornalisti come lui salvavano la stampa dalla banalità

Giampiero Mughini

Fu vicedirettore dell'Europeo negli anni Settanta. Quel lavoro gigantesco di tirar fuori ciascun numero del settimanale, in termine tecnico “la macchina” del giornale, gravava interamente sulle sue spalle. Titoli, correzioni, Claudio Rinaldi, Panorama e la giovinezza di una generazione

E siccome ho l’età di uno il cui ambiente umano e professionale al tempo in cui lavoravo nei giornali era fatto da gente che ha oggi dai 70 anni in su, il nome e cognome di qualcuno di loro li ritrovo purtroppo di tanto in tanto nelle pagine dei quotidiani riservate agli annunci funebri. Stamane ho avuto un colpo al cuore nel trovare su una di quelle pagine il nome di Antonangelo Pinna, che da vicedirettore dell’Europeo anni Settanta per noi tutti era “Toni” Pinna e credo avesse ora 85 o 86 anni. Nel piangerne la morte Repubblica lo definisce “un giornalista originale”.

  

Una definizione che offende la memoria di quanti noi hanno lavorato con Toni, che non era affatto “un giornalista originale” e bensì molto ma molto di più. Di giornalisti originali, che si inventino un “pezzo” a cui non avresti pensato e che scrivano con brio intelligente ne trovi quanti ne vuoi. Di uno come Toni, senza il quale il giornale verrebbe fuori mal titolato, male impaginato, con didascalie raffazzonate, non puoi fare a meno. In quell’Europeo – che per tanti di noi è stato una palestra di giornalismo – il direttore era Lamberto Sechi (l’inventore della formula “Panorama”) e il vicedirettore Claudio Rinaldi, con Paolo Mieli il più talentuoso giornalista della mia generazione. Pasquale Chessa sovrintendeva alle pagine culturali, e aveva imparato da Valerio Riva a farlo molto bene. La nostra era una squadretta con i fiocchi. Ebbene quel lavoro gigantesco a tirar fuori ciascun numero del settimanale, in termine tecnico “la macchina” del giornale, gravava interamente sulle spalle di Toni. Quando le cartelle che avevamo battuto ai tasti della macchina da scrivere e più tardi del computer erano bell’e ultimate, andavi nella stanza di Toni ad aiutarlo a trovare un titolo attraente, il che vuol dire che nello spazio di una giornata di lavoro lui di titoli ne faceva almeno una ventina, beninteso sugli argomenti i più disparati. Una volta gli portai le cartelle di un articolo che sapevamo entrambi fosse rognoso da titolare. Nello spazio di tempo intercorso tra il momento in cui le mie dita mollarono le cartelle e le sue dita le afferrarono, Toni aveva trovato il titolo. Affidargli un pezzo era come metterlo in cassaforte da come lui lo avrebbe protetto da infezioni di sorta, a cominciare dalla banalità che è forse il morbo più micidiale di cui soffrono i giornali. Un’altra volta, e me ne ricordo come se fosse accaduto ieri e non la bellezza di quarant’anni fa, mi accorsi dopo aver consegnato un pezzo che avevo sbagliato una certa data di due anni. Solo che ormai non c’era più niente da fare, ormai le rotative stavano girando. Quando il giornale uscì andai a guardare il mio articolo in questione. Ebbene Toni aveva corretto la data, quei dannatissimi due anni non ricordo se in più o in meno. E sto scrivendo tutto questo sapendo che io e Toni stavamo su due latitudini politico-culturali ben diverse. Lui era un comunista più o meno fedele e ortodosso, io già allora ero un fervente anticomunista. In tanti anni di lavoro comune, solo una volta da queste differenti ubicazioni ne venne un attrito, e ancora le mura della redazione di via della Mercede stanno risuonando delle mie urla. Se ricordo bene l’ultima volta che ho visto Toni è stato nella chiesa in cui si stava celebrando il funerale di Claudio Rinaldi, ucciso dalla sclerosi a placche. In quell’occasione mi si presentò una giornalista televisiva a chiedermi che cosa rappresentasse per me la morte di uno quale Rinaldi, lui che dopo l’Europeo mi aveva chiamato a far parte della redazione di Panorama, da cui lui si dimetterà al momento dell’avvento di Silvio Berlusconi in Mondadori. Le risposi che quella morte corrispondeva alla fine della nostra giovinezza.

Naturalmente il ricordo di Claudio e quello di Toni se ne stanno indisgiungibili nella mia memoria, fanno da contrassegno degli anni professionalmente i più fervidi della mia vita. Dopo di loro nelle redazioni dei giornali sempre più spesso mi trovavo di fronte uomini o donne cui non avrei dato il mio cane da farlo passeggiare. Quanto a Claudio il ricordo più toccante che ne ho è quello della mattina in cui entro mezzogiorno dovevo consegnargli l’articolo su quello che era avvenuto in Italia il giorno prima. Che fossero stati arrestati tre leader di Lotta continua che il “pentito” Leonardo Marino aveva indicato come corresponsabili dell’agguato mortale al commissario Luigi Calabresi. Non era un articolo facile da scrivere. Oltretutto alcuni anni prima Rinaldi ci aveva addirittura lavorato nella redazione del giornale che promanava da Lotta continua.

Alla redazione romana di Panorama, a via Sicilia, io e Claudio arrivammo quella mattina nello stesso momento, poco dopo le sei del mattino. Dopo aver dato uno sguardo a quel che ne scrivevano i quotidiani, mi misi ai tasti prima delle otto. Quando scrivi su un settimanale, tutto del tuo pezzo dipende dall’“attacco”, dalle prime cinque o sei righe con le quali devi afferrare al collo l’attenzione del lettore. Da dove dovevo “attaccare”, dai fatti o dallo stupore generazionale di gente come me e Claudio? Provai e riprovai, non ne ero soddisfatto. Presentai una prima volta a Claudio le fatidiche cinque o sei righe, sul suo volto si delineò il disgusto. Riprovai ancora, altre cinque o sei righe, nuovo disgusto di Claudio. Al terzo tentativo di “attacco” finalmente azzeccai. Dopo di che le dieci o quindici cartelle dell’articolo vennero fuori come un getto d’acqua limpida. Panorama vendeva allora oltre 400 mila copie a settimana. Se montavi su una carrozza ferroviaria, un viaggiatore su due lo stava leggendo. (Oggi su un treno nessun viaggiatore ha in mano un giornale di carta). E comunque ne era valsa la pena vivere la nostra giovinezza. Addio Toni, ti voglio bene.