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uffa!

Non solo semplici vinili, quelli di Vertigo furono incantevoli opere d'arte

Giampiero Mughini

In fatto di musica dei Sessanta e Settanta che se ne sta al crocicchio tra blues, jazz e rock, Franco Brizi incarna una terna perfetta: studioso accuratissimo, collezionista inesausto e mercante. Nel suo ultimo libro racconta la collana inglese di dischi del progressive rock più celebrata al mondo

Immaginiamo per un istante di volere costruire un museo ideale che testimoni la creatività italiana tra ultimi anni Cinquanta e primi Ottanta del secolo scorso. Per quanto è del design devi includere le opere marchiate dal Centro di produzione Danese, quello che a Milano esaltò il talento di Bruno Munari e Enzo Mari. Per quanto è delle cosiddette arti figurative vanno esposte tanto le opere torinesi dell’arte povera quanto quelle della scuola romana impersonata da Mario Schifano e Tano Festa. Per quanto è del fumetto ineludibili le tavole originali di Hugo Pratt, Guido Crepax, Andrea Pazienza. Per quanto è dell’avanguardia letteraria, non hai che da scegliere tra mucchi di testi e riviste della poesia visiva, da Adriano Spatola a Mario Diacono a Emilio Villa. Ancora per quanto riguarda il design italiano – che in quegli anni primeggiava in tutto il mondo – non puoi non dare un risalto particolare agli esordi di un Gaetano Pesce al quale aveva accordato la sua fiducia Cesare Cassina, e questo prima che Pesce si auto esiliasse a Parigi (dove il Beaubourg gli dedica una personale già nel 1975) e successivamente a New York dove vive tuttora. Così come non puoi trascurare il magistero di un Alessandro Mendini e di un Ettore Sottsass che stavano scavando le zolle da cui sarebbe germogliato all’alba degli Ottanta il gruppo Memphis, quello che nella storia del design scandisce un prima e un dopo del secondo Novecento. 

Per quanto è della musica italiana la più innovativa dei Settanta, quella smagliante sequenza di vinili originali che passa sotto la denominazione di progressive rock, c’è un libro che è stato eretto quale un cippo in onore dei capolavori della Premiata Forneria Marconi, del Banco del Mutuo Soccorso, degli Area, ed è il pirotecnico Volo magico di Franco Brizi, pubblicato nel 2013 dalla romana Arcana, un libro dove l’avventura di quei gruppi musicali è scandagliata disco per disco, concerto dopo concerto. In fatto di musica dei Sessanta e Settanta che se ne sta al crocicchio tra blues, jazz e rock, Brizi incarna una terna perfetta nel senso che lui è assieme uno studioso accuratissimo, un collezionista inesausto e un mercante dalle cui labbra io pendo. Lo conosco da una quindicina d’anni, dal giorno in cui il piccolo grande editore Francesco Coniglio venne a farmi visita nell’ospedale dov’ero ricoverato dopo l’asportazione di un tumore alla prostata e io gli chiesi di passarmi al telefono Brizi, al quale volevo chiedere alcune particolarità della storia editoriale del vinile forse il più iconico del Novecento. Il disco/banana prodotto da Andy Warhol nel 1967 per il mitologico esordio dei Velvet Underground capeggiati da Lou Reed. Al telefono Brizi mi spifferò tutto quello che dovevo sapere in merito.

Otto anni dopo il Volo magico, Brizi è tornato sulla scena del delitto (Vertigo, Iacobelli editore, 2021), e anche se questa volta non è la musica italiana al centro della sua indagine. Lo è la collana inglese di dischi del progressive rock la più celebrata al mondo, quella Vertigo che nel 1969 s’era inventata un geniale manager discografico olandese, Olav Wyper, e che fiammeggiò con una ottantina di dischi pubblicati sino al 1973. Ebbene, prima dell’apparizione del Vertigo di Brizi non c’era un libro che quella storia la raccontasse e la documentasse come merita. Brizi lo ha fatto con un libro che ha la lucentezza di un diamante. C’è che lui, da collezionista, ce li ha tutti e ottanta i dischi della Vertigo. Ma non solo, ha anche i volantini, i poster, gli annunci su riviste che additavano i concerti imminenti dei gruppi rock più platealmente rappresentati dalla Vertigo. E sono gruppi da leggenda, i Black Sabbath innanzitutto, quelli che si erano dati il loro nome in onore del regista cinematografico italiano Mario Bava specializzato in fantascienza, i meno noti ma eccezionalmente raffinati Cressida, Rod Stewart, gli Uriah Heep e tanti altri.

Fin dalle primissime uscite, gli album editi dalla Vertigo erano di una qualità musicale che il celebre esperto musicale Barry Winton (soprannominato “Mr. Vertigo”) definiva outstanding, eccezionale. Il magnifico “Valentyne suite” dei Colosseum che fa da esordio della collana, “An old Raincoat won’t ever let you down” di Rod Stewart, il travolgente “Black Sabbath” del gruppo omonimo, il primo dei due dischi dei Cressida pubblicati dalla Vertigo. Quei dischi/oggetto, che costavano mediamente più degli altri (“Ed era giusto che fosse così”, a detta di Wyper), divennero da subito leggendari a cominciare dalle loro copertine, e l’arte di creare copertine di vinili le più suasive e originali è stata un’arte precipua del Novecento. Eccome se Wyper sapeva il fatto suo nel creare un prodotto che per venderlo qualcuno doveva prenderlo in mano, gustarlo, assaporarne l’incanto. Seppe scegliere e convocare, quale autore principale delle copertine della Vertigo, Marcus Keef, un fotografo che lui aveva conosciuto quando studiava fotografia al Royal College of Art di Londra. Keef ascoltava i dischi quando erano stati impressi su nastri di prova e cercava poi di tradurre in immagini quel che le note musicali gli avevano trasmesso. Da lasciare senza fiato è la foto di copertina del disco dei Colosseum. Ma forse ancora più toccante, perché ancor più come sospesa e misteriosa, è la foto che addobba la copertina del primo dei quattro dischi dei Black Sabbath pubblicati dalla Vertigo, l’album omonimo dove ad addobbare la copertina è una foto che sullo sfondo ha un antico mulino ad acqua, tutt’attorno come della sterpaglia “nebbiosa e crepuscolare” (Brizi) e più ravvicinata l’immagine di una donna in piedi avvolta in una mantella che la copre fin sopra la testa. Se guardi bene ma proprio bene ti accorgi che tiene in grembo un gatto nero. Puro incanto.