(lapresse)

Uffa!

La battaglia di Inghilterra nel gran libro di Erik Larson

Giampiero Mughini

A venticinquemila metri d’altezza si decise il destino della civiltà europea
 

Sono ormai parecchi anni che lo scrittore americano Erik Larson (nato nel 1954) si guadagna onorificenze a mezzo della letteratura detta di non-fiction, di libri elettrizzanti quanto un romanzo ma i cui personaggi sono veri e reali, e vere e reali le loro mosse, le loro parole. Non c’è un sorriso dei miei personaggi, scrive a modo di introduzione a questo suo sugoso Splendore e viltà (Neri Pozza, 2020), che io non abbia tratto da un documento dell’epoca cui si riferisce. Tutto del suo racconto parte da una data fatidica del Novecento, quel 10 maggio 1940 che è assieme il giorno dell’avvento al premierato politico in Gran Bretagna di Winston Churchill, e il giorno in cui i panzer e gli Stuka tedeschi che scendono in picchiata a lanciare cinque bombe alla volta si avventano sulle truppe francesi in uno spiraglio di territorio non protetto dalla linea Maginot. Passano cinque giorni e il primo ministro francese, Paul Reynaud, telefona a Churchill a dirgli “Siamo stati battuti!”

 


Dopo avere spezzato la linea di difesa francese, i tedeschi galoppano a spron battuto verso la vittoria finale sulla Francia e sui suoi alleati nei campi di battaglia europei. Stante la disfatta totale della Francia, e meno male che 338 mila tra soldati inglese e francesi fossero riusciti a svignarsela a Dunkerque, l’attacco nazi all’Inghilterra è una questione di settimane. Gli inglesi sanno che la Luftwaffe è quattro volte più poderosa dell’aviazione inglese. Lo hanno visto quel che è successo in Olanda, che il giorno dopo un bombardamento a tappeto di Amsterdam in cui sono morte ottocento persone il governo olandese ha firmato la resa. Una volta Adolf Hitler aveva definito Londra “il più grande obiettivo al mondo, una sorta di grossa e grassa mucca”. Dagli aeroporti francesi lungo la costa della Manica possono staccarsi in volo fino a oscurare il cielo migliaia e migliaia tra caccia e bombardieri pesanti con la croce uncinata. Gli abitanti di Londra si apprestano a vivere 57 notti consecutive di attacchi aerei furibondi. E’ una questione di vita o di morte per l’Inghilterra riuscire a produrre a sua volta caccia e bombardieri in gran quantità. Una delle prime mosse del Churchill divenuto primo ministro è stata quella di creare un ministero adibito a tale bisogna e di affidarlo a un uomo di cui si fida, Lord Beavebrook. I caccia servono a difendere Londra e le altre città inglesi sotto attacco, i bombardieri serviranno a portare la morte in casa tedesca. “Dobbiamo essere capaci di uccidere donne e bambini prima che lo facciano loro”, dirà un politico inglese che non temeva la crudezza delle parole, ed è esattamente quel che accadrà dal 1943 in poi, al tempo dei bombardamenti a tappeto delle città tedesche. In vista degli imminenti combattimenti aerei sui cieli d’Inghilterra, c’era un’altra considerazione da fare. I piloti tedeschi, che avevano fatto le loro prove durante la guerra civile spagnola e nell’attacco alla Francia, avevano più esperienza di quelli inglesi. L’età media dei piloti tedeschi era 26 anni, quella dei piloti della Raf 20

 


L’orrida musica della distruzione e della morte cominciò a metà agosto. A venticinquemila metri d’altezza si sarebbe deciso il destino della civiltà europea. Non soltanto quello di Londra ma, ove Hitler fosse lasciato libero di fare il comodo suo in Europa, quello di Parigi, di Roma, di Amsterdam, di Vienna; da cui lo “splendore” della celebre frase di Churchill, che mai così tanti dovevano così tanto a così pochi. Goering aveva promesso al Fuher che in quattro giorni avrebbe messo l’aviazione inglese in ginocchio. Lo ha poi raccontato l’asso dell’aviazione tedesca, il pilota di caccia Adolf Galland, che fin dai primi scontri le cose andarono in tutt’altra direzione. E perché i radar inglesi permettevano ai loro aerei di intercettare per tempo gli squadroni d’assalto tedeschi, e perché i giovani piloti inglesi non dimostravano alcuna fragilità o reticenza nei combattimenti più disperati, e perché gli aerei tedeschi avevano un tempo d’azione tattica molto limitato a parte quello necessario ad attraversare e riattraversare la Manica. Giorno dopo giorno di aerei tedeschi ne andavano giù molti di più che non aerei inglesi. 

 


Il 31 agosto Hitler dà l’ordine di bombardare Londra per la prima volta. Quando il 7 settembre gli aerei tedeschi puntarono la città, Joseph Goebbels si disse convinto che avrebbero ottenuto “la più grande catastrofe della storia”, la distruzione di un’intera capitale. Gli attacchi continuarono notte dopo notte. Per chi aveva casa accanto alle postazioni dei cannoni antiaerei, era un addio al sonno. Un sondaggio rivelò che il 31 per cento degli intervistati non aveva chiuso occhio la notte dell’11 settembre. Durante gli attacchi gli anfratti della metropolitana erano reputati un rifugio sicuro, la notte del 27 settembre ci si rincantucciarono 177 mila londinesi. La volta di un mio soggiorno a Londra ci sono entrato nella stanzuccia sotterranea dove Churchill dormiva di un sonno profondo durante la “battaglia d’Inghilterra” e dov’era ancora il suo letto d’allora, ovvio che ne restai commosso. E siccome durante i bombardamenti ciascun uomo e ciascuna donna potevano starsene dove volevano, ne venne un aumento considerevole della libidine, dei rapporti sessuali occasionali.

 


Niente, i tedeschi non avevano e non ebbero la meglio. Un pilota tedesco che fungeva da informatore del più celebre giornalista americano di stanza a Berlino, William Shirer, gli riferì che loro nutrivano una grande ammirazione per i loro avversari, i piloti della Raf. Del resto lo sapete come andò a finire. Lo saprete meglio gustando il bel libro di Larson. Che molto prima della battaglia di Stalingrado, su cui esiste una letteratura dieci volte maggiore, la battaglia d’Inghilterra fu decisiva nello stoppare l’avanzata nazi.