Terrazzo

Compleanno in bianco e nero in Laguna

Giulio Silvano

Hypervenezia, una passeggiata fotografica a Palazzo Grassi per i 16oo anni della città

Venezia ha compiuto 1.600 anni il 25 marzo scorso (Ariete: istintiva, coraggiosa, impaziente), ma siccome in primavera ci si trovava in quei momenti cupi di coprifuoco, zone a semaforo e regioni chiuse, non si è potuto festeggiare a dovere. Si vedeva solo un mesto striscione sul ponte degli Scalzi, come un biglietto Hallmark anonimo dimenticato in cucina. Così si cercano i modi per celebrare (e sfruttare il brand Venezia). Film evento, convegni, mostre. Attira l’attenzione tra i vari poster culturali sui muri quello della mostra fotografica Hypervenezia, con un bel font allungato rosso acceso, ospitata nel Palazzo Grassi di F. Pinault, suocero di Salma Hayek e fondatore di Kering. 

Tutto il primo piano permette una “passeggiata” in città, sestiere dopo sestiere, un serpente di foto ad altezza sguardo sui muri grigi di palazzi e scorci, accompagnati da una musica ambient. Nemmeno un’ombra, mai una persona presente. Il bianco e nero, uniformante, sembra un device per uccidere il tempo, e ha l’effetto di cancellare i riverberi dei canali sui palazzi e smorzare le sfumature del grigiore lagunare che tanto piace ai flâneur melanconici. Facile col black&white essere chic, proprio come con l’abbigliamento. Ma il goal del fotografo Mario Peliti esula probabilmente dall’ambizione totalmente estetica, e qui ci si chiede cosa ci faccia questa mostra nelle stesse sale dove si son visti i mastodontici finti tesori sommersi pop di Hirst. Il suo è un intento pratico – un po’ boomer e ossessivo, ma onorevole – mappare con l’obiettivo tutta la città lagunare, cosa che lo stato (Sovrintendenza + Iccd) ha subito visto come utilissima, forse in vista del futuro apocalittico global warming per poter ricostruire ogni singolo edificio in una Italia in Miniatura su Marte. Un lavoro, il Venice Urban Photo Project, iniziato nel 2006 che terminerà nel 2030. 

E così si capisce perché la ricerca dell’assenza umana è così staged, come se una città si potesse astrarre (e quindi archiviare) solo se le persone non si vedono. Non sembra mai, in queste 12.000 cartoline, che da un momento all’altro qualche anima possa attraversare l’inquadratura, a differenza delle istantanee di alcuni libri sulle città vuote per la peste 2.0 (tipo Never walk on crowded streets) dove l’assenteismo organico è motivato dalle leggi e dalla paura, e diventa spunto per ragionare sul perché costruiamo e viviamo nelle città.

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