Giorgio Agamben

Venezia, Agamben e tu

Michele Masneri

“E' dal passato che proviene ogni possibilità”. L'ultima lezione del filosofo superstar

Giorgio Agamben contro tutti, come nei vecchi Maurizio Costanzo Show. Il filosofo romano superstar (tradotto in ogni lingua, esistono pure delle t-shirt con scritto “I love Giorgio Agamben”), inaugurando l’anno accademico alla facoltà d’architettura della capitale, parla di “Costruire, abitare”, e impartisce agli architetti lezioni di elegante sarcasmo antimodernista. “L’archeologia è l’unica via di accesso al presente”, esordisce, nella città giusta, dove non si costruisce mai nulla di nuovo, in adorazione del capitello (Andy Warhol sosteneva che Roma “è la dimostrazione di quello che succede quando le rovine di una città durano troppo”). Vituperando ogni forma di modernismo (per non parlare del post), fa una dotta meta-citazione: il titolo della lezione rimanda infatti a Martin Heidegger, autore del saggio “Costruire, abitare, pensare”, e Agamben, che l’ha conosciuto, fa subito una distinzione, tra “aedes” cioè l’edificio, e “domus”, cioè la casa. E “il costruire mina gli equilibri dell’abitare che ha la stessa radice etimologica di “abitudine” e anche di “abito”.

 

Aula strapiena di professori, curiosi e studenti seduti per terra come nelle lezioni di Gilles Deleuze trasmesse di notte da Fuori orario – mancavano solo le sigarette per ricreare il clima anni Settanta -, Agamben non delude e ne ha per tutti: per quel collega sindaco di Venezia che ha definito di recente “anime belle” coloro che vorrebbero riportare abitanti in laguna. E per quell’architetto che sempre a Venezia ha costruito un “centro commerciale”, centro commerciale che è “luogo per definizione inabitabile”, un po’ come i “campi di concentramento nazisti che pur furono ideati da architetti del Bauhaus”, volteggia Agamben.

 

A Venezia, luogo che gli è sacro, luogo topico d’architettura e archeologia, per lui si salva solo Carlo Scarpa, il sublime architetto-restauratore che ha disseminato la città dei suoi manufatti evocativi in dialogo col passato (e talvolta col presente): dal negozio Olivetti alla fondazione Querini Stampalia, alla ristrutturazione dell’ingresso dello Iuav, dove ha rovesciato l’antica porta ritrovata nei lavori, mettendola in orizzontale anziché in verticale, per di più affogandola nell’acqua e quindi costringendo a girarci intorno. Costringendo tutti a interrogarsi sul suo senso, quindi, letteralmente “ad abitarla”. Agamben, come il suo Flaiano prediletto, che cita in continuazione, ha “una tale sfiducia nel futuro che fa i suoi progetti per il passato”. “Ogni passato contiene un’occasione mancata”, dice, ed “è dal passato che proviene ogni possibilità”, cita sorridendo, tra tanti professori e studenti sgomenti che magari ambivano solo ad essere un po’ delle archistar postmoderne.

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