La fine delle Kessler, che rimpianto per quella Rai in bianco e nero (meno per quell'Italia)
Alice ed Ellen, le gambe teutoniche che sconvolsero l’Italia del boom. Con la morte delle gemelle se ne va un mito della tv di stato, tra dirigenti santi e calze coprenti
Sembra un misto tra “Viale del tramonto” e un film malinconico della vecchia commedia all’italiana, la fine di Alice ed Ellen Kessler, che hanno terminato i loro giorni forse col suicidio assistito, e la prescrizione di essere seppellite insieme (pure con la mamma e il cagnolino premorti). Le tedesche più famose in Italia dopo la Mercedes sono state il simbolo di una trasgressione nordeuropea temprata dal cattolicesimo della tv di stato mediterranea.
Apparivano in tv come un miraggio, come una promessa, di quello che poi si sarebbe trovato sulla battigia della costa riminese, o sul Gardasee caro ai turisti germanici e ai cucador latini. Erano state scovate da Antonello Falqui a Parigi, tra Folies Bergères e Crazy Horse, dove si andava in perlustrazione e scouting. “Le Kessler le presi al Lido a Parigi”, racconta proprio Falqui in una vecchia intervista che si trova nel nuovo documentario di Fabrizio Corallo recentemente andato in onda su Rai 1 in occasione del centenario della nascita del supremo stilista della Rai in bianco e nero, ideatore di “Studio 1” e “Canzonissima”. Le Kessler facevano parte delle Bluebell, un corpo di ballo attivo dagli anni 40, che appunto era in forza al Lido; il qual locale non voleva cederle, e dopo lunghe trattative la Rai si dovette prendere l’intero corpo di ballo, e che corpo, con le dieci maggiorate di altezza minima 1,75, che così imperversarono per un po’ in Italia. Ma l’Italia dimenticò le altre e scelse le gemelle, e le loro gambe. “Il destino della tv nelle gambe delle Kessler”, titolò la Stampa, e le gambe (delle gemelle, ma in generale) diventarono un po’ l’ossessione nazionale di un’Italia che si affacciava al boom, ma che non era pronta per tutta quella modernità (e pelle) nordeuropea.
Destavano turbamenti nei paesini e nelle città delle trasferte, “Le bionde gemelle bloccano il traffico” titolava un altro giornale, e molto scandalo destarono nella Rai che veniva dal magistero del leggendario Filiberto Guala. Piemontese amministratore delegato della tv pubblica dal ’54 al ’56, Guala aveva fatto voto di castità e povertà, era amico del futuro Papa Montini e del futuro beato Frassati, e alla fine si fece frate pure lui. Trappista. “Chi sono io? Sono semplicemente un moderno crociato chiamato a lottare per il sepolcro della pubblica coscienza. Sono venuto per cacciare pederasti e comunisti” disse a un certo punto, così, en passant. Fu autore di un codice di comportamento interno Rai che prevedeva tra le altre cose di non rappresentare scene riconducibili alla “lotta di classe” o a “figli illegittimi”. L’elenco delle parole proibite e impronunciabili in televisione vedeva al primo posto “membro” (non si poteva neanche dire “membro del Parlamento”), “seno” (neanche in senso figurato, come “in seno all’assemblea”), “cosce” (se non nella accezione “cosce di pollo”), “parto”, “vizio”, “ascelle”, “intestino”, “sudore”, “verginità” e “alcova”. Le parole “gravidanza” e “suicidio” dovevano essere sostituite da “lieto evento” e “insano gesto”. “Un pazzo”, dice Falqui nel documentario. Era però anche colui che organizzò il concorsone del ’54, quello per cui entrarono in Rai tutte le nuove leve (Furio Colombo, Umberto Eco, Gianni Vattimo, Enrico Vaime) che rinnovarono la tv pubblica.
Ma l’Italia era quella lì, rappresentata benissimo dai film dell’epoca, dove c’era sempre un onorevole democristiano piissimo, come nei “Complessi”, film del ’65 in cui nell’episodio della “Schiava nubiana” c’è un politico molto devoto interpretato da Tognazzi che scopre che la moglie ha partecipato a un film semiporno. In un altro episodio, quello del “Dentone”, ci sono invece proprio le Kessler, che vanno a un “date” con Alberto Sordi, unico non raccomandato a fare i provini per il telegiornale (e un prete, padre Baldini, interpretato dall’al solito strepitoso Romolo Valli, che per sviarlo gli propone un posto alla Radio vaticana, senza successo). “Veniva un tizio del Vaticano a vedere se dai costumi spuntava il sedere”, racconta nel documentario un’altra Bluebell, Leontine Snell. Così per cantare “Da-da-un-pa” che era la sigla di apertura del meraviglioso “Studio Uno”, le gambe delle Kessler erano state protette da pesanti calze nere (insieme a loro c’erano i dimenticati gemelli Blackburn). Erano poi rimaste intrappolate in quelle gambe, le Kessler, come chi non riesce più a staccarsi da un’immagine giovanile folgorante, come il viscontiano Tazio morto anche lui qualche tempo fa. Da quarant’anni si erano trasferite in Baviera, a Grünwald, vicino Monaco, dove sono morte, e oggi se uno volesse proprio fare della sociologia da bar, o pianobar, la fine triste delle Kessler fa venire la malinconia per cos’era quella Rai; un po’ meno per quell’Italia, vabbè.
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