Bilanci

Alla Disney è ora di produrre per il pubblico pagante, non per attivisti woke

Mariarosa Mancuso

Titoli natalizi che incassano troppo poco, le incertezze della pandemia e quasi dieci anni senza incassi memorabili

"Natale non sarà Natale senza regali", lamenta Jo di “Piccole donne” (la ragazza preferita di chi sentiva che da grande avrebbe fatto la scrittrice, già avvertiva un pizzicorino al cuore). I regali a casa delle sorelle March non c’erano perché papà era al fronte. E il pranzo era stato offerto a una famiglia povera, nel turbine di bontà che avvolge le prime pagine del romanzo. Natale non sarà Natale senza un film della Disney. Né della Pixar: la sciagurata fusione aziendale che ha prodotto il didascalico “Elemental”: “Può l’acqua stare vicino al fuoco? Sì, se si amano tanto”. Sarà il nostro destino, e non avendo un carattere generoso non pensiamo ai bambini meno fortunati (esistono sempre i libri, per passare il tempo).

Il titolo natalizio – per festeggiare i 100 anni della Disney – era intitolato “Wish” (“Il potere dei desideri” per gli spettatori italiani). Uscito per il lungo fine settimana del ringraziamento, ha incassato negli Stati Uniti 31 milioni e poco più. Poco. Troppo poco per la Disney che da qualche anno partecipa a ricco mercato natalizio con titoli deboli (per la critica e per gli incassi). È comunque questione di proporzioni: se un film costa alla Disney 200 milioni e altri 100 servono per la pubblicità, i 500 milioni di incasso che farebbero la felicità di un film meno costoso sono pochi. Magari coprono le spese, ma lo spettacolo richiede investimenti.

L’anno d’oro è stato il 2019: sette film da oltre un miliardo ciascuno. Magari non siamo sull’orlo della miseria, come a casa delle sorelle Alcott, ma è segno che qualcosa non gira come dovrebbe. “Elemental” ha incassato 495 milioni – e ora forse lo riproporranno per arrotondare. Non hanno rispettato le previsioni d’incasso “The Marvel” (supereroine, purtroppo è un genere che vuole eroi maschi, per incassare), “Indiana Jones e il suo McGuffin – era una meridiana del destino, la scusa per andare indietro nei secoli, e a Siracusa far due chiacchiere con Archimede. Perfino “La Sirenetta” in live action con la pelle color cioccolato – e gli spot strappacuore con le bambine: “Ma è come me!” – ha totalizzato 569 milioni. L’incertezza della pandemia, film in streaming e contemporaneamente al cinema non è stata una grande idea.

Il prossimo giugno uscirà “Inside/Out 2”, con un nuovo personaggio: l’Ansia. Ricordavamo benissimo che nelle ultime scene del film precedente, sotto il nuovo pulsante rosso c’era scritto “pubertà”. Troppo difficile, troppo delicato, troppo poco woke? Questo è adesso il problema, che fa perdere soldi alla Disney e fa calare il valore delle azioni. La ditta finora percepita sana e buona, fuori dalla politica e dalle rivendicazioni, non lo è più. Gran parte degli americani pensa che sia passata dalla parte del male che corrompe i ragazzini. Le richieste di sponsorizzazione e merchandising sono calate. “E se poi le sorelle di “Frozen” mi diventano lesbiche?”, temono i genitori avveduti. Qualcuno l’aveva detto, per scherzo, dopo la grande campagna di acquisizioni Marvel, Pixar, Lucas: ora Topolino potrà innamorarsi di Deadpol,

Proprio ieri Bob Iger ha riunito le truppe. Tra l’altro, per garantire che la campagna acquisti era finita, “mi sta bene quel che ho”. Ora si tratta di produrre spettacoli che piacciano al pubblico pagante, non agli attivisti woke: “La mano invisibile del mercato” ha dato alla Disney uno schiaffetto. Meglio far tesoro dell’avvertimento.

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