(foto LaPresse)

Ci piace lo spezzatino e ormai è il Fantasanremo a farci palpitare

Massimo Adinolfi

Così come il fantacalcio, la competizione parallela al Festival ha il poter di ri-ontologizzare la cosa a modo suo. Un concetto che ha a che fare di vicino con la filosofia

L’inizio della gara non è stato uno scherzo. Prima serata, prima canzone, prime parole: “Bocche piene di falsità che nutre il mondo / Mani prive di dignità, votate a Dio”. Poi, per fortuna, mentre l’arca dell’umanità andava a fondo, l’anima è salita, salita, librandosi nel canto libero di Lucio Battisti… no: di Anna Oxa, che perlomeno con i suo look iconici e mutanti desta sempre stupore. A tal proposito, gira in rete un ingessatissimo Enzo Biagi che si interroga sulla tendenza a imporre il personaggio: lo chiamano look, dice con scetticismo, per aggiungere subito dopo che a lui, invece, gli sembra un circo. Figuriamoci: venti e passa anni fa non aveva visto ancora niente. E nemmeno noi, per la verità, avendo davanti altre quattro serate.  Ma non sono le canzoni o gli abiti a farci palpitare, ormai: è il Fantasanremo. Le squadre iscritte sono più di quattro milioni, e benché ciascuno possa presentarne fino a cinque, di squadre, si tratta comunque di un numero esorbitante. Vuol dire forse che ci sono milioni di persone che seguono la gara come si seguono i cavalli all’ippodromo, che lo spettatore segue la kermesse sanremese con più partecipazione, perché può vincere anche lui?

 

Non solo e non precisamente, altrimenti non ne ricaveremmo una piccola morale filosofica. Perché quel che ti combina il Fantasanremo, così come tutti gli altri Fanta-, non è solo di tirarti dentro grazie al gioco e alla scommessa (ad alto tasso di casualità, peraltro). No, il Fantasanremo ha il potere di ri-ontologizzare la cosa a modo suo. Pensate al Fantacalcio. Mentre prima avevi la tua squadra del cuore per tifare, ora ti puoi ritagliare una squadra a tuo piacimento, e prendere interesse alla prestazione dei singoli giocatori ancor prima che all’esito complessivo della partita. L’oggetto è ritagliato, smontato e rimontato da ciascuno, in base alla propria formazione. 

 

E’ il prospettivismo, bellezza, diranno i miei piccoli lettori (di Nietzsche). E la tiritera del prospettivismo, del relativismo, del soggettivismo, altro che i settantadue anni di Sanremo: è ben da prima che ce la cantiamo e ce la suoniamo. Il che è vero, ma il fatto nuovo è la forza con cui si impone in via di fatto: praticamente e non solo in linea di teoria. Perché cambia davvero l’oggetto, non solo per il punto di vista che il soggetto assume su di esso, ma perché viene sempre più spesso costruito in funzione del taglia-e-cuci dello spettatore (e magari c’è pure qualche cantante che scorre la lista dei bonus e dei malus del Fantasanremo e vi si adegua). Vale per il Fantasanremo, ma vale pure per i meme e per i ritornelli e per tutto quello che deve essere impaginato sui social. Anche le esibizioni e le canzoni si rimodulano in funzione delle nuove esigenze di fruizione spezzettata, insomma. 

Non c’è mica nulla di malvagio, in ciò. Anzi: per la filosofia l’Oggetto tutto intero, integro e tondo, non è mai esistito, il tutto è sempre stato un’immaginazione della parte. Figuriamoci dunque se ci si può spaventare per un Fantasanremo. Però fare attenzione a chi oggi tiene le forbici e decide dove tagliare e dove cucire, quello sì. Io con la mia squadra (pianadipaestumperlamusica, Mengoni capitano), poi Amadeus, poi Coletta. Poi chi altri?

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