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cronaca di una prima volta

A Sanremo c'è un direttore d'orchestra anche per gli applausi

Salvatore Merlo

Metti una sera in galleria all’Ariston tra il pubblico (pagante) cui viene ordinato: “In piedi quando arriva Mattarella”, “ridete alle battute di Benigni”, “applaudite e beccatevi ’ste caramelle”. Fuori dal teatro c'è la vera festa, soprattutto quella delle truppe Rai

Sanremo, dal nostro inviato. Come un tempo nelle antiche navi galere c’era quello che batteva il tamburo dando il ritmo della voga, così all’interno del teatro Ariston di Sanremo, durante il Festival, esiste una specialissima figura che impartisce ordini al pubblico in sala. Pubblico pagante, attenzione, mica figuranti. Anzi, pagante caro, poiché i biglietti costano anche mille euro l’uno. Alzatevi. Sedevi. Urlate. Applaudite. Gioite. “Ho l’onore di dire che in sala c’è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella”, annuncia a un certo punto Amadeus, presentatore e direttore artistico. E quello, il battitore di tamburo: “In piedi, ahooo, v’ho detto in piediiiii, in piediiii c’è il presidente”. Tutti ovviamente eseguono, tipo Corazzieri. All’insegna della spontaneità, però. Poi arriva Roberto Benigni. Stessa scena: “Raga’, in piedi… è Benigni”. Tutti in piedi. Di nuovo. E se per caso Benigni fa una battuta che non fa ridere, come succede (non tutte le battute riescono col buco, nemmeno a Benigni), quando insomma il pubblico non ride o  forse non ride abbastanza, il battitore di tamburo s’arrabbia un filo: “Ahó, ma che fate dormite? Dovete ridere”. E allora accade una cosa che ha quasi dell’incredibile. Un fenomeno che un giorno potrebbe, chissà, attirare gli studiosi di sociologia o i neuropsichiatri, gli stessi che magari si sono applicati per esempio alla definizione della sindrome di Stoccolma. Non appena infatti quest’uomo il cui incongruo carisma risiede evidentemente nella voce baritonale e nella fisicità imponente (per non dire minacciosa) urla “dovete ridere”, ecco che quelli del pubblico pagante ridono davvero. Anche se potrebbero pure non farlo, ribellarsi. Ridono sul serio. Ridono tutti. E anche tanto. A crepapelle. Ridono pure alle battute che non fanno ridere. Il fenomeno è certamente dei più singolari. Un tizio dalla mutria scura seduto alla fila otto della galleria, per dire, un uomo di mezza età che fino a un minuto prima era assorto sul cellulare, o forse dormiva, si ridesta e grida improvvisamente  “grande Benigni”. Così, di botto. Sicché il guardiano soddisfatto gli lancia una caramella. Non metaforica. Una vera caramella, tipo le noccioline allo zoo verso la gabbia dei macachi. (segue a pagina quattro)
Insomma a Sanremo anche l’applauso è poco più di un altro effetto di scena, un po’ come le rose prese a calci da Blanco sul palco o come Matteo Salvini che in crisi di consensi prova a grattare un po’ dello share televisivo del Festival come fanno i canali concorrenti della Rai quando ospitano dibattiti su Sanremo: “Mattarella ha diritto di svagarsi, ma la Costituzione non va difesa all’Ariston”. Processo al Festival, un format per il Capitan bollito.

   
 E a proposito di bolliti va segnalato che  la sera, tra piazza Colombo e via XX settembre, che sono il centro del centro festivaliero di Sanremo, bar e ristoranti iniziano a riempirsi di clienti. Cartelli compilati a pennarello o prestampati offrono menù a prezzo fisso e tragiche specialità liguri in un francese sgrammaticato. Stente pianticelle in vaso recingono le schiere di tavolini, tra cui si aggirano camerieri sfiniti. Basta guardarli per sapere che confonderanno le ordinazioni. Ragione per la quale l’enorme truppa della Rai presente in città (sono forse più numerosi degli abitanti stessi di Sanremo) preferisce luoghi più accoglienti come il Palafiori, una mega struttura in cemento armato dove tra lo stand della regione Sardegna e il distributore automatico di salumi Beretta, gli sponsor generosi offrono Negroni e chinotti a tutti. Esistono infatti due categorie Rai a Sanremo: quelli che lavorano e quelli che fanno l’aperitivo. Quelli che lavorano li vedi frullare dalla mattina alla sera, e fino a notte fonda, tra una conferenza stampa, un collegamento e la grande diretta di Amadeus e Gianni Morandi (ieri con Francesca Fagnani). Inutile dire che sono pochi, pochissimi, anche se molto bravi. Tutti gli altri, mediamente, compaiono all’improvviso come funghi al calar del sole. Insomma alle tre di notte li trovi ancora che ballano (c’è capitato di vedere qualche inviato del Tg1 ma non solo) al Lido Mengoni, alla festa di Cosmopolitan o in qualsiasi altro luogo in cui non si paga. Se uno si vuole divertire a Sanremo deve senz’altro inseguire quelli con il Pass in cui c’è scritto “Rai tv”. Andrebbe segnalato anche nelle guide del Touring club. Ecco. Va specificato che le due categorie Rai, che qui possiamo distinguere sommariamente in “devoti” e “vitelloni”, tendenzialmente non si sopportano. E quasi non si frequentano. Come hanno cantato ieri sera Colapesce Dimartino: “Lavoro per non stare con te”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.