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Terrazzo

Addio, viale Mazzini. Il Romanzo immobiliare della Rai

michele masneri

Esiste un "piano immobili": nessuna sede è al sicuro, a partire da Viale Mazzini. Il terrore di finire a Saxa Rubra

Ci voleva pure questa, dopo il Covid e la guerra. Arriva il tormentone sullo spostamento della Rai da viale Mazzini. La notizia l’ha data ieri Repubblica citando un documento dell’azienda secondo cui il palazzone della tv di Stato dovrà essere sottoposto a bonifica causa amianto. Il costo, novanta milioni, suggerirebbe di spianarlo, cedere tutto, e spostare la Rai da un’altra parte. Magari al centro di produzione di Saxa Rubra. Il documento cita un “potenziale di mercato interessante” dello stabile di viale Mazzini; e ieri sera la Rai ha rilasciato un comunicato secondo cui non ci sono ancora decisioni sui “futuri assetti immobiliari dell’azienda”, e però ammettendo che esiste da tempo un Piano che riguarda tutti gli immobili. 

 

Siamo dunque, ancora una volta, al romanzo immobiliare della Rai, sottogenere e spinoff della saga che tiene a Roma sempre col fiato sospeso (capitolo preferito: “’e nomine!”). Ma ogni volta (e le volte sono tante) che si parla di un trasferimento, uno spostamento, una ristrutturazione, scoppia l’isteria peggio che con “’e nomine”. Succede generalmente d’estate, tipo feuilleton a puntate da leggere sotto l’ombrellone, e così esattamente l’anno scorso giungevano i costernati rumor dello spostamento della sede Rai milanese da via Mecenate e dal glorioso building di corso Sempione disegnato da Gio Ponti  nel ‘39 al “MiCo”, acronimo milanese inquietante che non è altro che la Fiera. Panico subito, riverberato a Roma. Un po’ perché nella Rai ogni novità crea paranoia, un po’ perché tutto ciò che da lì arriva va decifrato, con segnali, auspici, messaggi in codice, che richiedono esperti più scaltri dei cremlinologi, tanto è bastato l’anno scorso per suscitare nella capitale reazioni allarmatissime. Beppe Sala: “Finalmente il segnale che chiedevamo da tempo è arrivato”.  


Il presidente della regione Attilio Fontana: “La Lombardia e Milano, punti di riferimento nazionali dell’informazione e della comunicazione meritano questo riconoscimento, atteso da troppo”. Sbrocchi a catena poi a Roma: “E’ la capitale dell’audiovisivo, e tale deve rimanere”, disse Nicola Zingaretti, oltretutto residente del quartiere Rai-Delle Vittorie).  E Letizia Moratti: “Zingaretti è contrario perché difende un interesse provinciale. Qui c’è una grande vocazione per l’informazione”. Infine il deputato dem Roberto Morassut annunciò un’interpellanza contro quel progetto che fu soprannominato brutalmente “Saxa rubra milanese”, che sembra l’ingrediente di un poké.

 

Perché poi “Saxa”, come la chiamano gli addetti ai lavori, è sempre il correlativo oggettivo, lo scenario distopico. Anche oggi: dove si minaccia che viale Mazzini demolita, venduta, cancellata,  finisca appunto ad alimentare una “grande Saxa”, dove dovrebbero edificarsi altri ventimila metri quadri di uffici. In quel compound brutalista nato per Italia Novanta, quel luogo che pare il delirio di un’archistar severissima o un esperimento idealistico,  tipo Arcosanti in Arizona: bunker di cemento armato tra boschi da Twin Peaks, anche con microclima peculiare (gelido d’inverno, fresco d’estate). Lì troneggia una copia del cavallo Rai, ma alato, e dorato, opera di Mario Ceroli, a illuminare quel luogo così chiamato per le cave di tufo rosso nell’antichità, e già teatro della battaglia di Ponte Milvio del 312 d.c. ove Costantino combatté Massenzio.

 

E lì segnali, auspici, congetture: nel paventato trasferimento – in linea peraltro con i dettami delle archistar, andare in campagna, bassa densità! – c’è chi  coglie una strategia romanordista dell’esecutivo e del comune di Roma (riaperta dopo anni la stazione ferroviaria fantasmatica di Vigna Clara, strano tempismo), c’è chi sospetta invece un minaccioso  “leak” dell’amministratore delegato Fuortes, occhio che vi spedisco a Saxa. Però gli effetti sistemici, li avranno calcolati?


Che ne sarà infatti della ville radieuse di viale Mazzini? Chi ci pensa a ristoranti baretti affitti e subaffitti e salsamenterie? Se la Rai se ne va, infatti, chi mai investirà in un immobile a viale Mazzini? Il “potenziale di mercato è interessante”, già, ma potenziale,  e viale Mazzini è viale Mazzini perché c’è la Rai. E la farmacia di viale Mazzini, certo. Dove vanno quelli della Rai. Ma senza Rai, non ci sarebbero più grandi motivi per recarsi nella bella piazzona circolare con fontana. Sarebbe come comprare casa in zona Fondazione Prada se Fondazione Prada si trasferisce a Bergamo. 

 

Senza contare che voler fare le economie,  nelle sedi molto celebri e identitarie, non porta mai bene: al  Corriere, a Milano, la cartolarizzazione della redazione eponima di via Solferino, ha portato tutta la spiacevole vicenda Blackstone; e i cronisti di Sky finiti dalla Salaria a Rogoredo, cosa dicono? e a Repubblica sulla fatale via Cristoforo Colombo dove le torri un tempo da due son diventata una, con platea di homeless sottostante, saran contenti?

 

Dovremo darci insomma alle rimembranze del palazzone a vetri Rai? Commemorare gli  ascensori di destra, riservati ai mega direttori naturali, il plastico del palazzo stesso, nell’atrio; il ristorante-mensa all’ultimo piano con menu filologico anni Ottanta con pennette alla vodka, e il retone anti-suicidi dell’ultimo piano; l’arredamento “a salire”, puramente fantozziano, con ficus finti e poi veri e le poltrone in simil e poi vera pelle man mano che ci si avvicina all’apice. Tutto ciò era resistito a Berlusconi, ai leghisti, al Covid, allo “smartuorchi”, e ora finisce per colpa di Fuortes?

 

Non si rischieranno anche fenomeni paranormali,  come scoperchiando antichi cimiteri, considerata la quantità di energie psichiche che la “grande industria culturale” ha condensato in quel grattacielo per sei decenni? Complotti, rimonte, ricatti, successi, ambizioni, creatività, rinunce, ripicche. E le sofferenze, le sofferenze dei vertici, soprattutto nordici (Carlo Verdelli visse il suo breve supplizio al residence Mazzini,  Campo dall’Orto stava all’Aldrovandi, quello dove visse lungamente depresso, e infine perì, Dino Risi. Letizia Moratti sulla scrivania teneva a proteggerla dagli spiriti romani il ritratto di sua nonna, la mitica donna Mimina Arnaboldi).  Poi il fatale documento rivela che nel mirino potrebbe finire pure il Teatro delle Vittorie: come si oserà sconsacrarlo dopo che è stato tappa del funeralone laico di Raffaella Carrà l’anno scorso? In Spagna le dedicano piazze, alla Raffa nazionale, e noi ci vendiamo il teatro? E le sedi regionali, leggendarie (la più ambita, quella di Venezia. Palazzo Labia, affrescato dal Tiepolo, dove si tenne il più gran ballo del Novecento, il bal Bestegui. In maschera). A rischio anche quelle: le foto delle sedi regionali stanno a viale Mazzini, nei corridoi, tipo “un giorno tutto questo sarà tuo”, o “un impero su cui non tramonta mai il sole”. Almeno, fino a oggi.  

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