Viale Mazzini

Tropico Rai, dopo i direttori, scoppia la guerra dei vicedirettori. Il caso Malanga

La tv di stato è il chiringuito dei giornalisti che vogliono farsi dimenticare

Carmelo Caruso

Simona Sala è già in contrasto con Zurzolo. Antonio Di Bella vuole i suoi. Da Orfeo non ci vuole andare nessuno "perchè fa lavorare troppo". I dispersi a Mazzini: Carboni e Pionati

Qual è il desiderio dei giornalisti televisivi? Si chiama notorietà. Si traduce in spazi,  trasmissioni, incarichi. In Rai esiste tuttavia un’altra categoria di giornalista che diventa perfino vice, in alcuni casi direttore. E’ il giornalista che insegue l’oblio di platino. Il suo obiettivo è essere dimenticato. E’ l’ombra. Ogni mese riceve circa 10 mila euro per lasciarsi dondolare dai ricordi. Stiamo parlando di figure che dopo il “Congresso Fuortes”, la restaurazione provocata dalle sue sostituzioni, rischiano seriamente di dover lavorare. Stasera alle 19, l’ad della Rai, si presenterà infatti in Commissione di Vigilanza. Parlerà del cambio delle direzioni di genere, del contratto di servizio, del piano industriale. Non parlerà probabilmente di quella zona equatoriale, dei Tropici Rai, dove si preparano “colpi di rete”, si disfano strisce e dove degli illustri Carneadi soggiornano sdraiati sull’amaca. Sorseggiano centrifughe allo zenzero e sul loro tavolo esibiscono questa targhetta: “Dott. xxx, alle dirette dipendenze di xxxx”.

 

Sono ovviamente invenzioni linguistiche per celare il loro vero mestiere: l’ozio. Grazie a Fuortes abbiamo scoperto che due di loro potrebbero tornare in corsa, essere ri-chiamati alle presse della televisione pubblica, per permettere il completo ripristino del manuale Cencelli a favore di M5s e centrodestra. Sono Francesco Pionati e Giuseppe Carboni, gli “Oreste Sabatini” del film di Ettore Scola “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico scomparso misteriosamente in Africa?”. Come Nino Manfredi (Sabatini) hanno fatto perdere le loro tracce.

 

Pionati, che era il volto del Tg1 in Parlamento, prima di tentare lui stesso l’avventura politica, raccontano abbia un “chiringuito” a Viale Mazzini alla “testata giornalistica regionale” ma nessuno sa come arrivarci. C’era chi pensava fosse andato in pensione. Abbiamo chiamato in Rai e dicono che è ancora un dipendente: “Lotta insieme a noi”. L’ultima retribuzione del 2021 è di 220.438 euro. L’altro è Giuseppe Carboni, quota M5s. Dopo aver servito Giuseppe Conte, come direttore del Tg1, è scomparso. La sua targhetta è “alle dirette dipendenze dell’amministratore delegato”.

 

Raccontano in Rai che aver consegnato il Tg3 a Mario Orfeo, e dunque al Pd, provoca “la sacrosanta richiesta del M5s di piazzare qualche vice di area”. Tra le altre cose con Orfeo non vuole andarci nessuno perché dicono che “con lui si lavori troppo”. C’è dunque un rimescolamento che potrebbe portare a una rotazione di vice che Fuortes ha sottovalutato. Ogni nuovo direttore vuole spostare i suoi vecchi numeri due. Spostare un vice significa rompere ulteriormente la cristalleria Cencelli. Simona Sala, che è stata nominata direttrice del Day Time, si trova come vice Federico Zurzolo che aveva già lasciato senza mansioni quando dirigeva i giornali Radio. Vuole anche spostare Massimiliano De Santis che era il vice della direzione Approfondimento. Antonio Di Bella, a sua volta, vuole come vice Silvia Vergato che faceva parte della sua squadra. Vicedirettrice è ad esempio Paola Malanga. Ed è un’altra storia Rai.

 

Il Foglio ne ha scritto ampiamente. Ha preso la guida del Festival del Cinema di Roma e ieri ha presentato le attività della Fondazione. Quando le hanno chiesto se si fosse licenziata, se ritenesse che ci fosse una incompatibilità, ha replicato che “non penso che ci sia un conflitto di interesse” e che è “in aspettativa perché la legge lo permette”. Ha rivendicato con forza che “non si licenzia”. Era (ed è) vicedirettrice di Rai Cinema e va a dirigere il Festival del Cinema di Roma che dovrà selezionare film prodotti da società come Rai Cinema. Per lei è normale.

 

La notizia che la sede di Viale Mazzini possa essere venduta, causa amianto, perché la bonifica costa troppo, fa sorridere. Ampliare Saxa Rubra è impraticabile e solleverebbe le proteste del corpo Rai. Bonificare la sede costa circa 90 milioni. Il vecchio progetto di unificare le news room, e lo ha ricordato il deputato Michele Anzaldi, avrebbe portato un risparmio di 70 milioni solo il primo anno. Si sta procedendo con l’alienazione di Rai Way, si discute di vendere la sede. Alla prossima proporranno il cambio di nome e di ricolorare il cavallo. La Rai è sempre più la nostra nuova Alitalia.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio