Il Collegio è diventato un nuovo Grande Fratello

Claudia Casiraghi

Il cosiddetto "docureality", con la nuova stagione in onda su RaiDue, non fa che legittimare il trash attraverso la pretesa intellettuale del documentario. Con un occhio al pubblico più giovane

Lo hanno chiamato "esperimento sociale", costruito intorno allo spauracchio della disciplina e al rigore formale di una divisa. Ma quel che resta de Il Collegio, con la prima puntata della sesta edizione andata in onda su RaiDue nella prima serata di martedì, non è il vento dell’innovazione, bensì una divertita sensazione di compiacimento data dalla consapevolezza di aver istituito un nuovo Grande Fratello. E di averlo fatto senza incappare nelle noiose polemiche che, di anno in anno, toccano il circo degli adulti.

Il Collegio, ancora protetto dall’etichetta ambiziosa di "docureality", una crasi creata a uso e consumo di chi voglia legittimare il trash attraverso la pretesa intellettuale del documentario, non ha nulla di diverso dal suo corrispettivo per "grandi". Non nella sostanza, quantomeno. Quelle piccole diversità apparenti con le quali l’occhio è tratto in inganno – la mancanza di uno studio, di opinionisti e ingerenze fisiche – attengono, unicamente, la dimensione formale. Sono colori diversi di una stessa tela, escamotage studiati per parlare la lingua del pubblico al quale vogliono rivolgersi. Il Grande Fratello, per garantirsi una sopravvivenza, deve compiacere gli affezionati di Canale 5, quella fetta di popolazione che, da mattina a sera, sollevata solo dall’intermezzo di Beautiful, lascia che le voci melliflue di Federica Panicucci e Barbara d’Urso riempiano i propri salotti. Deve, dunque, portare le proprie storie oltre i confini di Cinecittà, dentro spazi ben definiti della televisione generalista. Il Collegio no.  

Lo show Rai deve vivere di social e nei social, creare fenomeni alla portata del pubblico più giovane: quel pubblico che balla su TikTok, si sfoga nelle storie di Instagram, si informa su Twitter e la televisione la accende di rado. Di qui, l’esigenza di sopprimere lo studio, orpello della tradizione, per affidarne le mansioni alla rete, dove gli utenti fanno (egregiamente) le veci degli opinionisti, e lo fanno gratis. Senza intaccare una narrazione che, nella sostanza, resta identica a quella di qualsiasi Grande Fratello.  

Il Collegio tutto vede, tutto sente e tutto concede. Ma quel tutto, per ragioni anagrafiche, è reso più dolce dalla presenza dei ragazzi: dall’innocenza che si porta dietro la loro età (adolescenti di 14-17 anni) e dall’impeto bonario che porta lo spettatore a fare spallucce quando sente uno dei protagonisti dire che "la Bastiglia è affondata".

Le accuse di trash di cui Il Collegio sarebbe destinatario se fosse popolato da maggiorenni gli sono risparmiate grazie ai suoi piccoli protagonisti. Alle guance che si fanno rosse quando, di nascosto, ci si scambia un bacio. Al sincero entusiasmo con cui un quattordicenne racconta di aver girato il mondo grazie alla danza: "Gubbio, Manfredonia, Riccione, ho visto tanto". Ma anche alla sicurezza con cui si rinuncia alle telecamere per tornarsene a casa insieme ai propri capelli, che secondo le regole del programma devono essere corti e ordinati.

Il Collegio, la cui prima puntata ha fatto l’8,5 per cento di share, è salvo perché pieno di creature ancora passibili di salvezza, di miglioramento. Creature con le quali si è naturalmente portati ad essere indulgenti. Ma dietro l’armatura lucida dell’adolescenza, con il suo scudo di errori considerati rituali, a battere è il cuore del Grande Fratello. Un Grande Fratello per minorenni.

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