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Due anni fa voleva spegnere la Rai, adesso Grillo ci va in prima serata

Andrea Minuz

Il “trionfo della volontà” del populismo televisivo. Il ritorno del comico è la Rivoluzione di Freccero, guru televisivo del “cambiamento”

Dopo “Ultimo tango” senza censura, dopo Morgan che spiega i Queen in salsa anticasta (“nelle loro canzoni c’è una chance per tutti anche se non sei figlio d’arte o aristocratico”), lunedì torna Beppe Grillo in prima serata. E’ la Rivoluzione di Freccero, guru televisivo del “cambiamento”, maestro inarrivabile del riposizionamento situazionista. Un piccolo passo per RaiDue ma un grande balzo in avanti per il populismo. Si sa che a furia di ripeterle le leggende diventano vere. La battuta su Craxi che gli costa l’epurazione, un lungo girovagare per teatri, piazze, aziende di marketing, un movimento politico che diventa forza di governo e ora Viale Mazzini che si arrende. Si spalancano le porte al vincitore che rientra trionfante. Avevamo torto noi, aveva ragione lui. Pippo Baudo, scopritore di Grillo, dice sempre che per quella battuta fu lui a essere costretto a trovare lavoro altrove, non Grillo, e ogni volta che lo dice il comico va su tutte le furie. Sta di fatto che l’anno dopo Baudo passa a Fininvest mentre Grillo si vede qui e là (Sanremo 1988 e 1989, invitato a “Fantastico 1990”, in prima serata con il suo show su RaiUno nel 1993, dove c’è già tutto il cuore del pensiero grillino, la lotta alle multinazionali, la decrescita felice, il sapone fatto in casa). Un’epurazione omeopatica, ma spesa nel miglior modo possibile per costruire la leggenda dell’uomo che aveva fatto tremare la Casta. Su quella vendetta si costruì il progetto politico della Casaleggio Associati; da una battuta sui socialisti si puntò dritti verso il Palazzo e poi tutti in balcone a festeggiare il default.

 

Una vendetta covata per trent’anni, come in un western di Sergio Leone. Da cinefilo qual è, Freccero non poteva farsi sfuggire l’occasione anche se per ora dovremo accontentarci di un montaggio di repertorio, un techetecheté anticasta che arriva dopo l’omaggio a Celentano del 5 gennaio (poi ci saranno Funari, Tortora, Benigni) ma che in questo momento diventa un “Trionfo della volontà” del populismo televisivo. Immaginiamo una Leopolda in diretta su RaiUno ai tempi di Renzi e Campo Dall’Orto. Immaginiamo un montaggio di “Drive In” su RaiTre al posto di una puntata di “Sciuscià” di Santoro durante un governo Berlusconi. Saremmo già in piazza a difendere la Costituzione, saremmo già in prima pagina su Repubblica urlando al golpe. Ma alla notizia di Grillo in Rai si festeggia sui social, “ora che torna Grillo torneremo a pagare il canone”, anche se lui non c’è, anche se il canone gliel’hanno già infilato in bolletta due anni fa. Sono ormai maturi i tempi per affidargli un programma, magari #IoSpengoLaRai come l’hashtag che lanciò un paio di anni fa. Magari un talk con Grillo che parla bendato, come a Oxford Union qualche giorno fa. Si è presentato in pubblico così per non vedere “questa UK imprigionata dalle discussioni su Brexit in una finta democrazia”. Almeno lì lo hanno fischiato.

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