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Bolla AI o no, c'è un'azienda che preoccupa gli analisti. Il caso CoreWeave
Negli ultimi sei mesi, secondo il Wsj, la sua capitalizzazione si è ridotta di circa 33 miliardi di dollari, un calo del 46 per cento, a causa di alcuni ritardi nella costruzione di un nuovo data center. Ma ai rallentamenti si sono aggiunti problemi tecnici e burocratici, aggravati da comunicazioni poco chiare del Ceo Mike Intrator
Negli ultimi mesi il dibattito sull’esistenza di una bolla legata all’intelligenza artificiale si è fatto sempre più acceso. Per alcuni è una bolla finanziaria, paragonabile a quella delle dot-com del 2000; per altri, come Jeff Bezos, si tratta al massimo di una bolla “scientifica”. In ogni caso, anche ammesso che il fenomeno sia destinato a ridimensionarsi senza conseguenze sistemiche, esistono aree del settore che preoccupano particolarmente gli analisti. Una di queste è un’azienda che si chiama CoreWeave, la cui storia aiuta a spiegare anche la storia – recente e sfrenata – di questo settore. CoreWeave nasce nel 2017 con un altro nome, Atlantic Crypto, con la missione di fare mining di criptovalute, precisamente di Ethereum. Per farlo, compra molte GPU di Nvidia, dei chip molto potenti, nati per migliorare la resa grafica nei videogame e finiti per essere usati in campi in cui la potenza di calcolo è tutto. Come il mining di criptovalute o, più recentemente, lo sviluppo e mantenimento dei modelli linguistici alla base di chatbot come ChatGPT.
Nel 2018, a causa di un crollo del mercato crypto, l’azienda cambia identità facendo ponte sul suo unico patrimonio, la grande quantità di GPU Nvidia. Da qui la svolta strategica. Abbandonato il mining, CoreWeave inizia a offrire servizi cloud ad altre aziende, riconvertendosi di fatto in un operatore di data center specializzato in calcolo ad alte prestazioni. È in questi anni che il rapporto con Nvidia diventa centrale. Il produttore di chip investe 100 milioni di dollari in CoreWeave, arrivando a detenere circa il 7 per cento della società. In cambio, CoreWeave diventa uno dei clienti privilegiati di Nvidia, con accesso facilitato alle GPU anche nei momenti di maggiore scarsità. È un meccanismo circolare che ha attirato molte critiche: Nvidia investe in CoreWeave e CoreWeave utilizza quei capitali per acquistare hardware Nvidia. A questo si aggiungono OpenAI, che ha investito in CoreWeave ed è a sua volta sostenuta da Nvidia, e Microsoft, partner di OpenAI e tra i principali clienti di CoreWeave.
I sospetti aumentano se si guarda la struttura finanziaria dell’azienda. Negli ultimi anni, infatti, CoreWeave ha ottenuto finanziamenti a debito per circa 2,3 miliardi di dollari, offrendo ancora una volta come garanzia l’asset più prezioso di cui dispone: le GPU Nvidia. Il capitale raccolto è stato utilizzato per “espandere la capacità cloud”, cioè per costruire nuovi data center… e acquistare ulteriori GPU Nvidia. Per quanto bizzarro, il modello ha funzionato fino a quanto la domanda è cresciuta e il mercato ha continuato a scommettere sull’espansione infinita dell’AI. Questa fiducia, però, ha iniziato a incrinarsi. Negli ultimi sei mesi, secondo il Wall Street Journal, la capitalizzazione di CoreWeave si è ridotta di circa 33 miliardi di dollari, un calo del 46 per cento. A conferma del nervosismo diffuso tra gli investitori, il fattore scatenante è stato apparentemente marginale: delle piogge insolitamente intense in Texas che hanno rallentato la costruzione di un nuovo data center destinato a OpenAI. In un contesto simile, infatti, un ritardo logistico si è trasformato in un segnale di pericolo, un’avvisaglia di bolla. Dopo anni di investimenti frenetici nei data center, per migliaia di miliardi di dollari complessivi, gli investitori sembrano ora aspettare il primo progetto che salta per confermare un sospetto sempre più diffuso: la capacità di calcolo in costruzione potrebbe superare la domanda reale.
Nel caso di CoreWeave, inoltre, ai ritardi si sono aggiunti problemi tecnici e burocratici, aggravati da comunicazioni poco chiare del CEO dell’azienda, Mike Intrator, che inizialmente ha parlato di un solo data center coinvolto e successivamente ha ammesso che i progetti interessati erano più di uno. CoreWeave non è l’unica a traballare. In questi giorni anche aziende come Oracle, tra le maggiori beneficiarie della corsa ai data center dopo Nvidia, stanno affrontando rallentamenti e ripensamenti sugli investimenti. La differenza è però strutturale: Oracle è un gruppo storico, con una base clienti ampia e diversificata; CoreWeave, invece, è un’azienda costruita quasi interamente attorno a un unico asset, le GPU Nvidia.