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Perché è fallita GAIA-X, l'infrastruttura cloud europea di Francia e Germania

Filippo Lubrano

Il progetto doveva liberare l’Europa dalla dipendenza digitale da Stati Uniti e Cina. E’ diventato invece un monito su come riusciamo a sabotarci da soli. Ora che si parla di “OpenGPT”, il rischio di un sequel identico, ma con conseguenze potenzialmente più pesanti, è più che reale

Hong Kong. Non molti se ne accorsero allora, ma c’è stato un momento in cui sembrava che un progetto avrebbe potuto cambiare il destino digitale dell’Europa. Si chiamava GAIA-X, e la sua promessa, lanciata in pompa magna nel 2019 dalla Francia e dalla Germania, era semplice e potente: costruire un’infrastruttura cloud europea, sovrana e indipendente, per sottrarre il Vecchio continente alla sudditanza dei giganti americani di Amazon, Microsoft e Google e all’ombra lunga dei competitor cinesi. Doveva essere, almeno nella visione transalpina, l’“Airbus dei dati”, il simbolo di una potenza tecnologica che finalmente osava. Oggi, quel progetto non è morto, ma il suo spettro rischia anzi di infestare anche le prossime ambizioni progettuali del settore. E la sua storia, fatta di buone intenzioni, divergenze insanabili e pragmatismo fuori luogo, è l’emblema più nitido del perché l’Europa fatica a ritrovare un posto al tavolo dei grandi della tecnologia.

 

Il cuore del fallimento di GAIA-X più che tecnico è politico, e affonda le radici in due visioni del mondo che a Berlino e a Parigi appaiono ancora inconciliabili. Da una parte, la Francia sognava una risposta protezionista e ambiziosa. L’idea, cara a Emmanuel Macron, era di creare un campione nazionale ed europeo, sostenuto dallo stato, che potesse competere testa a testa con le Big Tech d’Oltreoceano. Un progetto di indipendenza strategica, dove aziende come la francese OVHcloud avrebbero avuto un ruolo da protagonista. Dall’altra, la Germania guardava alla questione con un approccio più pragmatico e ingegneristico. Per Berlino, già profondamente interconnessa con l’ecosistema americano, l’obiettivo non era creare un competitor, ma piuttosto stabilire un insieme di regole e standard aperti che rendessero il mercato più efficiente e sicuro. Un approccio liberale che, di fatto, non vedeva l’urgenza di erigere barriere.

 

Questo dissidio ha creato la crepa attraverso cui le solite Microsoft, Google, Amazon e persino la controversa Palantir si sono infiltrate nell’iniziativa che mirava a ridurre la dipendenza da loro stesse. Il “cloud sovrano” si è trasformato in un ente di standardizzazione dove i guardiani del faro sono i predatori che si volevano tenere al largo, riducendo di fatto GAIA-X a un laboratorio di buone pratiche, lento e iper-burocratico, totalmente sconnesso dal mercato reale. Mentre i comitati di GAIA-X discutevano norme tecniche e certificazioni, governi, le amministrazioni pubbliche e le grandi aziende europee continuavano a firmare contratti miliardari con i provider americani. La dipendenza, anziché diminuire, si è consolidata, facendo scoprire sulla propria pelle all’Europa il significato di “lock-in” tecnologico.

 

E’ servita la guerra in Ucraina e l’esplosione dell’Intelligenza artificiale per risvegliare le coscienze. Improvvisamente, l’Europa si è svegliata con la rinnovata consapevolezza che la dipendenza tecnologica non è più solo una questione di costi o di privacy, ma di sicurezza fondamentale. La risposta di Francia e Germania a questa nuova sfida è stata l’annuncio di un nuovo progetto, “OpenGPT”, per creare un’alternativa europea a modelli come ChatGPT. Un déjà-vu che fa tremare i polsi, dato che i presupposti per un nuovo fallimento ci sono tutti: la mancanza di una visione veramente comune, la pressione delle industrie nazionali, la tentazione di collaborare con i titani americani pur di non restare indietro nello sviluppo. Ma la posta in gioco ora, con l’AI, è infinitamente più alta. Perdere anche questo treno per l’Europa significherebbe accettare un ruolo di dipendenza perpetua, non solo nel cloud computing, ma nella medicina, nella finanza, nella ricerca e nella difesa.

 

Per evitarlo, non bastano i soldi, né le intenzioni. Serve una regia unica, il coraggio di proteggere e favorire i propri campioni nascenti, anche a costo di scontentare gli alleati, o presunti tali, atlantici. Serve soprattutto capire che la tecnologia è ormai il nuovo campo di battaglia della geopolitica, e che in questo campo l’Europa rischia di essere solo un (grande) mercato da spartirsi, e non più un attore credibile. 

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