
cloud in down
Il guasto di Amazon che ha ricordato a tutti che internet ha un corpo (e sbaglia)
Dal guasto in Virginia all’Europa, la rete ha mostrato la sua dipendenza da pochi data center. Un errore nel sistema DNS di Amazon Web Services ha paralizzato per ore servizi globali, dall’Agenzia delle Entrate a Signal. Un promemoria dei rischi di un’infrastruttura digitale troppo concentrata
In Italia sono le prime ore di questa mattina quando internet si inceppa. È un termine non tecnico, ma ormai siamo abbastanza maturi da sapere che "internet non si ferma mai" e che, come una vecchia Olivetti, a volte può incepparsi. A volte lo si nota di più, specie quando il blocco riguarda AWS, Amazon Web Services, il motore invisibile che regge gran parte della rete globale. Dalla Virginia, dove si trova la regione "US-EAST-1", cuore pulsante dell’infrastruttura Amazon che fornisce servizi di cloud computing, l’onda del blackout si è propagata in buona parte d’Europa portando con sé conseguenze a catena.
Il delicato equilibrio del mondo cloud
Per alcune ore una parte d’internet ha smesso di rispondere: l’elenco è lungo ma basti pensare che piattaforme come Canva, Roblox, Perplexity (e persino Signal) sono andate in tilt, insieme alle app di diversi operatori telefonici. Anche alcuni servizi bancari e i portali digitali della Pubblica amministrazione, tra cui l’Agenzia delle Entrate, hanno registrato malfunzionamenti. Negli Stati Uniti, ad esempio, Alexa ha smesso di rispondere ai comandi vocali, lasciando letteralmente molti salotti al buio. È la dimostrazione plastica di quanto un piccolo guasto possa incidere sulle infrastrutture digitali di tutto il pianeta. Affidarsi al cloud, ormai, non è una scelta: è un destino tecnologico da cui non si torna indietro.
Il guasto, spiegano da Seattle, è partito da un’anomalia nella risoluzione DNS dell’endpoint di Amazon DynamoDB, il gigantesco archivio dati su cui si basano milioni di servizi. Una parte dei sistemi che traducono i nomi dei siti in istruzioni leggibili per le macchine si è scollegata dal resto della rete. Tradotto in parole semplici, siti e app non sono riusciti a connettersi ai propri database ospitati sui server di Amazon: DynamoDB ha continuato a funzionare, ma i siti non riuscivano a raggiungerlo perché il meccanismo che instrada le richieste, noto come DNS, non andava. Il guasto, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe stato causato da un aggiornamento errato o da un file difettoso. Nessun attacco informatico, tanto che la stessa pagina ufficiale di AWS da ore sta condividendo la sequenza di messaggi d’errore sui 65 servizi colpiti dal disservizio: "Increased error rates and latencies for multiple AWS services in the US-EAST-1 region", "partial recovery under way", eccetera. Non serve tradurre dall’inglese per capire che si tratta di una sintassi secca. Da codice rosso.
La nuova geopolitica digitale
Un problema tecnico, certo, ma anche una lezione di geopolitica digitale. Quando un singolo gruppo di data center si ferma, una parte del mondo digitale smette di respirare. È il paradosso dell’efficienza concentrata: Amazon, Microsoft e Google sono diventate le centrali elettriche della nuova civiltà informatica. Il cloud non è più uno spazio astratto: è infrastruttura critica dell’economia e delle istituzioni. L’Agenzia delle Entrate, le banche, le piattaforme di design, i software gestionali, orbitano intorno a capannoni distanti migliaia di chilometri. Un esempio che non rispecchia la bontà dell’architettura della rete ma che mette in primo piano un problema forse sottovalutato per anni. Non è un discorso da luddisti, anzi. È il prezzo da pagare per il cloud: avere meno hardware in locale fornisce risparmi e una maggiore fluidità, ma anche una maggiore vulnerabilità sistemica. I disservizi comunque restano rari rispetto alla mole di traffico gestita: le vendite nel segmento di AWS nel 2024 hanno superato i 107 miliardi di dollari, merito di un modello che ottimizza tutto, ridondanza compresa. E ogni tanto, questo costo invisibile presenta il conto.
Il rischio sistemico
In Italia il blackout di AWS è stato percepito come un lieve disturbo, una perturbazione di passaggio, ma ha comunque sfiorato elementi fondamentali della vita digitale: pagamenti, reti pubbliche, produttività aziendale. È stato un promemoria di quanto il cloud sia solo una metafora suggestiva dell’immaterialità. Perché, in realtà, internet è fatta di cavi sottomarini e di server accesi in tutto il mondo che qualcuno deve fisicamente riavviare.
Alla fine il lunedì nero del 20 ottobre non passerà alla storia come un cataclisma, ma come un piccolo spasmo del sistema globale. Ha ricordato che internet non è più un’entità eterea, ma una macchina industriale che, come tutte le macchine, può guastarsi. E che l’unico vero antivirus, ancora oggi, resta un po’ di umana (e costosa) ridondanza.

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