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da Shenzhen
I robotaxi cinesi che non danno la precedenza
Dalla prenotazione alla guida sfrontata, fra improvvise accelerazioni e video promozionali trasmessi nell'abitacolo. Il racconto di quattordici minuti di viaggio dentro una vettura a guida autonoma in Cina
Shenzhen. I robotaxi, o taxi a guida autonoma, stanno diventando sempre più popolari in America, dove la principale azienda del settore, Waymo, opera un’avanzata flotta di Jaguar tra San Francisco e Phoenix. Nell’altra superpotenza mondiale, la Cina, l’area di sperimentazione coinvolge un numero maggiore di città e di aziende, ma è comunque limitata ad alcuni quartieri specifici delle sue megalopoli. Siamo saliti sul robotaxi di una di queste aziende, Xiao Ma, letteralmente “piccolo cavallo”, anglicizzata in Pony.ai (azienda oggi quotata al Nasdaq) a Shenzhen, scoprendone aspetti interessanti.
L’esperienza risulta complessa per un occidentale sin dal momento della prenotazione: Pony.ai non è un’app a sé, ma un mini program di WeChat da usare all’interno della super-app cinese, e necessita di una comprensione almeno superficiale degli ideogrammi per poterla prenotare. A differenza dei competitor occidentali, non si può salire sul veicolo ovunque, ma solo in appositi punti specificati nella mappa, che per il resto è di difficile navigazione e con un’esperienza utente molto povera.
L’auto è una Lexus solida, non particolarmente equipaggiata se non per gli altoparlanti settati su un volume molto alto con cui il veicolo dialoga in mandarino coi passeggeri. Pony ha la fama di avere la guida più aggressiva sul mercato, anche e soprattutto dopo che i suoi sei veicoli in prova negli Stati Uniti sono stati fermati dopo che uno di essi ha urtato dei segnali stradali. Il veicolo dà prova della sua sfrontatezza al primo attraversamento pedonale, quando invade le strisce anticipando pedoni e motocicli elettrici che stanno per attraversare, una cosa impensabile per i robotaxi americani. E’ anche vero che le strade di Shenzhen, rispetto a quelle californiane o di Phoenix, sono più semplici, com’è normale che sia in una città nata quarant’anni fa, ma anche immensamente più complesse per la varietà e la quantità di mezzi che la attraversano. Ne risulta una guida sincopata, fatta di improvvise accelerazioni dove a tratti la velocità rilevata supera di qualche chilometro quella consentita.
Il pannello di controllo disponibile all’interno dell’abitacolo è ben congegnato: sugli schermi a disposizione dei passeggeri passano video promozionali in cui un anziano tassista si dimostra fin troppo eccessivamente impressionato dalla tecnologia che verosimilmente gli toglierà il lavoro, mentre i giovani e rampanti co-fondatori dell’azienda si alternano ad avvenenti influencer nello spiegare la rivoluzione che Pony.ai punta a rappresentare nel mercato. Alcune funzionalità vengono spiegate nel menù disponibile in doppia lingua, mandarino e inglese. Uno dei problemi principali compare quando si preme sul tasto che conduce ai termini e le condizioni, in particolare in relazione alla privacy e alle registrazioni video all’interno dell’abitacolo: in tal caso, la versione della doppia lingua viene disabilitata, e ci si ritrova davanti a un muro di ideogrammi che rende imperscrutabile la conoscenza dei propri diritti in materia.
I quattordici minuti del viaggio si concludono con un prezzo irrisorio, in linea ma leggermente inferiore a quelli già a ottimo mercato presenti nel sistema di Didi, l’Uber cinese: meno di uno yuan al minuto, per un totale di circa un euro e sessanta centesimi per l’intera corsa – meno della media di una qualsiasi corsa in un mezzo pubblico europeo. D’altronde le auto elettriche berline qui non superano ormai il costo medio di una dozzina di migliaia di euro, grazie al duplice effetto delle grandi economie di scala che rendono le batterie (che rappresentano circa il 40 per cento del costo di un veicolo elettrico) estremamente economiche, e dei generosi sussidi statali alle poche delle più di trenta aziende del settore sopravvissute ad anni turbolenti di spietata lotta commerciale nell’ultimo decennio.
Se il traffico del futuro sarà governato da veicoli che risponderanno a regole di etichetta e dilemmi etici in maniera diversa a seconda del posto in cui sono state manufatte, prepariamoci allora a un futuro prossimo di auto autonome adrenaliniche, e che non ci daranno la precedenza.