
Ansa
la guerra dei chip
Per la Cina le restrizioni americane sui chip Huawei sono “misure discriminatorie"
Washington vieta l’uso globale dei microprocessori cinesi per l’AI e scatena l’ira di Pechino che minaccia contromisure, proprio nel momento di parziale tregua commerciale. Intanto gli Stati Uniti rafforzano la produzione nazionale di chip e stringono alleanze strategiche per mantenere il primato tecnologico globale
La Cina critica le nuove direttive emanate dagli Stati Uniti contro Huawei e l’export globale dei suoi chip per l’AI. È arrivato qualche giorno fa il divieto statunitense alle aziende americane di utilizzare chip provenienti dalla Cina – inclusi i microprocessori Ascend per l'AI di Huawei.
La decisione dell'Amministrazione Trump è stata determinata dalle preoccupazioni degli Stati Uniti riguardo alla concorrenza di Huawei nei confronti del principale colosso americano dei chip, Nvidia. La Casa Bianca ha giustificato la misura sostenendo che i processori cinesi sono stati creati utilizzando tecnologia americana senza il necessario permesso, facendo leva su una normativa che ha effetti extraterritoriali.
Pechino ha bollato come "discriminatorie" tali misure e invitato Washington a "correggere immediatamente le proprie irregolarità". Il ministero del Commercio cinese ha promesso “misure risolute” qualora gli Stati Uniti persistano in una condotta ritenuta lesiva degli interessi cinesi. La portavoce del ministero del Commercio, ha denunciato tali misure come espressione di “unilateralismo e protezionismo”, accusando gli Stati Uniti di violare i principi del sistema commerciale multilaterale e di compromettere lo sviluppo delle stesse industrie americane. L’azione statunitense “ha seriamente minato il consenso raggiunto nei colloqui bilaterali ad alto livello di Ginevra” ha dichiarato il ministero del Commercio cinese.
L’inasprimento delle tensioni nel mondo tech arriva infatti in un momento delicato. Proprio la scorsa settimana, Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo per una sospensione parziale dei dazi per 90 giorni, stimolando un cauto ottimismo sui mercati internazionali. La parziale tregua, entrata in vigore il 14 maggio, prevede la riduzione e la sospensione reciproca di alcune aliquote doganali e ha rilanciato la prospettiva di futuri negoziati.
Sul fronte interno, gli Stati Uniti stanno rafforzando la propria filiera tecnologica. Nvidia, il colosso californiano dei chip, ha annunciato un investimento fino a 500 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni per produrre supercomputer e infrastrutture AI esclusivamente sul suolo americano. I nuovi chip Blackwell verranno infatti realizzati in Arizona, mentre i supercomputer saranno costruiti in Texas. L’obiettivo è chiaro: assicurare autonomia strategica e mettere al sicuro la catena di approvvigionamento tecnologico, riducendo la dipendenza da paesi rivali. Soprattutto dalla Cina.
Parallelamente, con il recente viaggio di Donald Trump in Medio Oriente, gli Stati Uniti hanno spinto sull’acceleratore delle alleanze globali per contrastare l’influenza cinese. Il tour ha visto protagonisti alcuni dei nomi più influenti della Silicon Valley – da Elon Musk ai Ceo di OpenAI, Amazon e Nvidia – tutti impegnati a stringere nuovi accordi nella regione saudita. Tra i più rilevanti, quello tra Nvidia e la società saudita Humain, che prevede la fornitura di centinaia di migliaia di superchip nei prossimi cinque anni. Un’operazione che ha immediatamente fatto impennare il titolo Nvidia del 5,6 per cento in borsa, segnando l’inizio di una nuova fase della competizione geopolitica sull’intelligenza artificiale.