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Il mondo tech

Ue, Cina e medio oriente sfidano gli Stati Uniti per reclutare talenti AI

Pietro Minto

La competizione globale per contrastare il predominio statunitense nell’intelligenza artificiale si intensifica. Tra tagli interni e politiche restrittive poco invitanti, gli Stati Uniti rischiano di perdere il primato. Mentre nuove potenze emergenti costruiscono hub tecnologici indipendenti e attrattivi

La corsa nel settore delle intelligenze artificiali si basa sempre di più sul cosiddetto talento umano, ovvero le capacità di professionisti esperti, ricercatissimi dalle aziende di tutto il mondo. Secondo Business Insider, alcuni dipendenti chiave di Google Deepmind, la divisione del gruppo che si occupa di AI, firmano un rigidissimo patto di non concorrenza della durata di un anno, nel corso del quale vengono comunque pagati. Insomma, Deepmind è disposta a pagare il suo top talent perché non faccia niente, pur di non vederlo andare altrove.

E’ una pratica che dice molto dell’alto livello di investimenti in corso in un settore che storicamente è stato dominato dagli Stati Uniti, ma che sta diventando sempre più policentrico e concorrenziale. Un recente studio del think tank statunitense Hoover Institution ha infatti dimostrato che il successo di DeepSeek, il chatbot cinese che lo scorso gennaio ha stupito gli osservatori occidentali, non è venuto dal nulla. Il settore cinese è riuscito a formare un notevole bacino di professionisti del settore, dimostrando di essere indipendente dalle aziende e dalle università statunitensi: più della metà dei ricercatori che hanno lavorato a DeepSeek, infatti, non hanno mai lasciato la Cina.

I recenti tagli alla ricerca scientifica e alle università dell’Amministrazione Trump rischiano quindi di peggiorare una situazione in cui gli Stati Uniti sembrano aver cominciato a perdere il loro vantaggio competitivo. E non è solo colpa della Cina: anche l’Europa ha un centro di ricerca AI in grande ascesa, a Londra, dove ha sede la stessa Deepmind (che fu acquisita da Google nel 2014). E poi c’è l’Unione europea, che sta cercando di attrarre scienziati e ricercatori dagli Stati Uniti con iniziative come “Choose Europe for Science”, che entro il 2027 investirà 500 milioni di dollari.

Un altro hub in forte crescita è quello mediorientale, in particolare gli stati del Golfo Persico come Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, che possono vantare forti investimenti e una politica energetica favorevole per i sempre più costosi data center, necessari al funzionamento e sviluppo delle AI. Questo lunedì, la corona saudita, a poche ore dalla visita del presidente Trump nel paese, ha lanciato Humain, una nuova società pensata proprio per lo sviluppo di data center e infrastruttura web, che è solo una parte di un piano da cento miliardi di dollari per il settore.

Le prime aziende tecnologiche ad arrivare nella regione e imporsi nel mercato cloud locale sono tutte statunitensi: Amazon Web Services, Oracle, Azure di Microsoft, Google Cloud. Negli ultimi anni, però, i paesi arabi hanno stretto sempre più accordi commerciali con le cinesi Huawei, Tencent e Alibaba. Secondo il sito Rest of World, i giganti cinesi stanno guadagnando terreno velocemente grazie ad accordi con le aziende di telecomunicazione regionali, come STC, E& Enterprise, OmanTel e Ooredoo.

Huawei ha già costruito quattro strutture per il cloud computing, oltre che un data center in Arabia Saudita caratterizzato da una latenza di rete ultra-bassa, capace di ridurre al minimo i ritardi nelle comunicazioni. Il tutto, mentre il governo saudita ha lanciato una politica “cloud first”, per cui i dipendenti pubblici sono spinti a privilegiare i servizi disponibili online, con l’obiettivo di rendere il sistema più efficiente e ridurre gli sprechi.

A favorire le aziende cinesi rispetto a quelle statunitensi c’è anche una maggiore sintonia nella gestione dei dati personali, che ha velocizzato la diffusione di questi servizi e la firma di nuovi accordi. Ma a fare la differenza è stata l’intelligenza artificiale, con i provider cinesi che si sono mossi velocemente e hanno integrato le AI nella loro offerta, trovando una sponda amica nel principe Mohammad bin Salman Al Sa’ud, deciso a fare del paese un hub globale per il settore tecnologico.

Nonostante il vantaggio accumulato nella regione, quindi, le aziende statunitensi “devono fare i conti con uno scrutinio sempre più rigoroso riguardo alla gestione dei dati personali”, mentre quelle cinesi sembrano godere di accordi di alto livello, frutto di intese diplomatiche, continua Rest of World. Allo stesso tempo, per motivi più legati alla sicurezza nazionale e allo choc della rielezione di Trump, anche nell’Ue è in corso una riflessione sull’eccessiva dipendenza dai giganti tech statunitensi, a conferma di come il vantaggio americano si stia riducendo