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il colloquio

Oltre ai chatbot: così l'AI può sostenere il made in Italy e parlare alle Pmi

Ilaria Coppola

Dietro l’intelligenza artificiale generativa c’è una rivoluzione industriale fatta di dati, calcolo e velocità, che può dare nuova linfa anche alla manifattura artigianale. "Per le imprese italiane si apre una sfida culturale prima ancora che tecnologica" dice Fabio Pammolli, professore del Politecnico di Milano

L’intelligenza artificiale, oggi sulla bocca di tutti, viene generalmente interpretata nella sua forma più visibile: quella fatta di chatbot, immagini create da zero e testi scritti in pochi secondi. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. "E' importante chiarire cosa s'intende per intelligenza artificialeL’attenzione generale ricade sulla parte di AI generativa, che è quella più visibile. Ma è utile fare un passo indietro e vederla come un insieme di metodi computazionali – applicabili a diversi campi – che affondano le radici nei progressi della tecnologia digitale", dice al Foglio Fabio Pammolli. L'economista, professore al Politecnico di Milano, consigliere del ministero dell’Economia e presidente dell'Istituto italiano di Intelligenza Artificiale per l'Industria (AI4I), invita ad adottare una prospettiva che contempli i diversi aspetti di questa creatura di cui tutti parlano – e che, a sua volta, ci parla. "Ha portato a una nuova fase industriale", una vera e propria rivoluzione basata sulle Gpu (chip super potenti che servono a sviluppare qualsiasi tipo di intelligenza artificiale). “Tutto questo è possibile grazie dall’evoluzione di tre pilastri tecnologici: la diffusione delle Gpu, capaci di elaborare grandi quantità di dati in parallelo; la digitalizzazione capillare, che ha trasformato testi, immagini, processi in dati strutturati; e la comunicazione ultraveloce tramite 5G”. In altre parole, è una rivoluzione paragonabile a quella della dinamo: “Lì si introduceva acqua e si otteneva elettricità, con l’intelligenza artificiale si introducono dati e si producono informazioni”.

In base all'ultimo rapporto Cna riferito al 2025 si può dire che le imprese italiane stiano iniziando a percepire questo cambiamento. Non solo le grandi aziende, ma anche la piccola manifattura si sta aprendo a un crescente interesse verso l’adozione dell’AI. Tuttavia la sua applicazione è ancora limitata nei numeri. Solo il 5,2 per cento delle piccole imprese la utilizza concretamente, ma il 53,6 per cento degli imprenditori ha dichiarato di volerla introdurre nei prossimi anni. L’adozione dell’AI varia a seconda delle funzioni aziendali. Le aziende cominciano a usare l’intelligenza artificiale per prevedere la domanda, ottimizzare la gestione dei magazzini, migliorare l’efficienza delle linee produttive. Ma “il vero salto di qualità sarà legato alla capacità di analizzare dati in tempo reale e trasformarli in azioni concrete” dice Pammolli. “Per esempio, la piccola azienda che produce mattonelle di cemento su base artigianale adesso ha la possibilità di fare lo style-up di una produzione, mantenendo i requisiti qualitativi che aveva in passato ma facendolo su base tecnica più spinta”. Un modo, quindi, per dimostrare che anche la tradizione può trarre beneficio dall’innovazione, senza snaturarsi.

Nel report Cna emerge con chiarezza che una delle sfide più rilevanti per la piccola manifattura non è tanto tecnologica, quanto culturale e organizzativa: serve una maggiore formazione, servono competenze interne, serve soprattutto una strategia. Circa 172 mila imprese manifatturiere, stima il report, sono “pronte a partire” con l’adozione dell’AI ma non hanno ancora fatto il passo, per difficoltà economiche, incertezza o mancanza di conoscenze specifiche. Pammolli esprime ottimismo ed esclude che l’Italia venga penalizzata dalla dimensione delle sue imprese:. “Non vedo uno svantaggio comparato per le imprese italiane in quanto più piccole. Anzi, vedo la necessità di scalare i processi di produzione. In più, il mercato sta facendo il suo lavoro: chi è più pronto e competitivo integrerà l’AI nei processi, chi non lo è resterà indietro". Sarà dunque una selezione naturale, più che una crisi. Il rischio esiste, soprattutto per le aziende meno digitalizzate o più isolate, ma non è un destino inevitabile. Anzi, in questo scenario si aprono nuovi spazi per chi sa reinventarsi.

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