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Softskill & business. Il mondo competitivo dei videogiochi spiegato da Luca Guerrasio

Giacomo Astrua

Quella degli esports è un'industria che ha mosso circa 1.080,30 milioni di dollari. "Sempre nel 2021, per citare altri numeri, gli appassionati su scala globale erano 240 milioni, ma arriveranno a superare i 291 milioni a fine 2024”, ci dice il consulente esportivo

Oggi giocare ai videogiochi può essere un lavoro, infatti esistono i professionisti, gli atleti dei videogiochi. Luca Guerrasio, consulente esportivo (da esport o electronic sport), è un vero esperto di questi atleti e di questo mondo. Lo abbiamo incontrato.

 

Ci spiega che cosa intendiamo per esport e chi sono i protagonisti di questa realtà?

“Gli esport sono una nuova modalità di intrattenimento e sono il mondo competitivo dei videogiochi, dove i protagonisti sono i videogiocatori. Tra questi ci sono i professionisti, chiamati Pro Player, ragazzi molto giovani che competono nei vari tornei, ognuno dei quali riguarda un singolo gioco, o meglio un titolo di gioco, su piattaforme diverse come pc, console o mobile”.

   

Per chi non è del mestiere questo mondo è una nicchia, un tema che interessa solo gli appassionati di videogiochi e pochi altri. E’ davvero così?

“Negli ultimi anni gli esport sono diventati un vero e proprio fenomeno internazionale e lo dimostrano i numeri, impressionanti, dei partecipanti alle competizioni. In origine, i campionati erano amatoriali e i montepremi in palio esigui. Oggi, invece, siamo al cospetto di una vera e propria industria che nel 2021 ha mosso circa 1.080,30 milioni di dollari. Sempre nel 2021, per citare altri numeri, gli appassionati su scala globale erano 240 milioni, ma arriveranno a superare i 291 milioni a fine 2024”.

 

Anche in Italia abbiamo questi numeri?

“La crescita degli esport si è sviluppata principalmente all’estero, in Asia orientale in Europa del nord e nel Nord America. In Corea del sud le competizioni degli esport vengono trasmesse dalle tv in chiaro. In America i tornei si svolgono regolarmente all’interno delle scuole e nelle università. Facile comprendere come il seguito, in quei paesi, sia sempre più esteso e costantemente in crescita. In Italia secondo le indagini 2020 condotte da Iidea, Italian Interactive Digital Entertainment Association, il numero totale dei videogiocatori era di 16,7 milioni, circa il 38 per cento della popolazione italiana compresa tra i 6 e i 64 anni. Oggi ci aspettiamo numeri ancora maggiori”.

  

I videogiochi hanno sempre spaventato molto i genitori, intimoriti nel vedere i propri figli immergersi in questa realtà virtuale e allontanarsi da quella più concreta e carnale. Quali sono i rischi per i giovani e come si combattono?

“Esistono  rischi quali la ludopatia, il cyberbullismo e il gaming disorder, ma esiste anche l’altra faccia della medaglia. Gli esport portano con sé numerose opportunità di interazione sociale. Aspetti come l’inclusione e l’accessibilità sono alcuni dei grandi pro di questo fenomeno sociale. Inoltre, secondo diversi studi, i videogiochi aiutano a sviluppare parte della nostra personalità e contribuiscono a sviluppare le softskill. La differenza la fa l’educazione digitale”.

 

La maggior parte degli adulti e dei genitori conosce ancora poco il mondo dei videogiochi, ma si può dire che c’è una forte analogia con lo sport più classico e tradizionale. Qual è il legame tra esport e sport?

“Tutte le dinamiche, sportive ed economiche, che troviamo nel mondo sportivo le incontriamo anche nel mondo degli esport. Come accade negli sport classici, un videogiocatore professionista viene ingaggiato da una squadra per competere nei tornei ufficiali di uno specifico titolo. Questi tornei hanno un seguito e i tifosi si abbonano a delle piattaforme per seguire i loro giochi preferiti. Tutto funziona in modo analogo a uno sport tradizionale, l’unica cosa che cambia è che gli atleti non corrono fisicamente su un campo da gioco ma sono seduti davanti a uno schermo”.

   

I confini degli esport si stanno allargando, tanto che stanno diventando una fonte di ispirazione per il mondo del lavoro. In che modo gli esport possono migliorare e sviluppare le softskill, le competenze trasversali?

“Secondo la ricerca Meos (Manpower Employment Outlook Survey) il 28 per cento dei datori di lavoro non riesce a trovare nei candidati delle softskill ben sviluppate. Tra le principali, che vengono richieste, ci sono la fiducia in sé stessi, la capacità di organizzazione, la flessibilità, la capacità di gestire lo stress, l’apprendimento continuo, lo spirito di iniziativa, la predisposizione al problem solving, il lavoro di squadra e la leadership. Sono tutti aspetti su cui un proplayer lavora moltissimo e si allena tutti i giorni. Passare ore e ore di fronte aduno schermo a ‘performare’ è qualcosa che va programmato e costruito, non ci si può affidare al caso. Lo stesso approccio può essere portato nel lavoro di tutti i giorni. La realtà di cui faccio parto, LXT esport, ha anche questo obiettivo: usare la propria conoscenza degli esport per formare i lavoratori del futuro. E le esperienze e le competenze nel gaming potrebbero entrare nei cv dei lavoratori di domani”.

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