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Due sentenze mostrano la ricetta europea per fare innovazione con juicio

Eugenio Cau

La Corte di giustizia dell’Ue salva Airbnb e frena gli attivisti per la privacy che spingono per il protezionismo digitale

Milano. Come si difendono i diritti e la privacy senza danneggiare competizione e innovazione? E’ il dilemma che l’Unione europea ha affrontato per anni quando si parla di politiche per la tecnologia: l’Europa è il più grande difensore mondiale dei diritti digitali, ma tra proteggere i cittadini dalla rapacità di aziende tecnologiche spesso straniere e spesso americane e il protezionismo il confine è sottile. Margrethe Vestager, che a questi temi lavora da anni, ha sempre cercato l’equilibrio di una soluzione di compromesso: ha usato il potere dell’Antitrust europeo per rendere il mercato più equo possibile, ma si è opposta all’utilizzo del potere degli stati per creare “campioni continentali” da mandare contro i giganti americani e cinesi. (Le cose forse stanno per cambiare ora che la presidente von der Leyen ha dato il portafoglio dell’Industria digitale a un francese). Ma l’equilibrio, dicevamo, è difficile da mantenere. Due notizie arrivate ieri dalla Corte di giustizia europea mostrano però che è possibile ottenere risultati. La prima notizia non è una sentenza ma una opinione preliminare dell’avvocato generale della Corte, che nell’80 per cento dei casi è seguita dai giudici. L’avvocato ha valutato la causa fatta contro Facebook dall’attivista Max Schrems, che chiede alla Corte di bloccare i trasferimenti dei dati dall’Europa agli Stati Uniti perché le leggi sulla privacy in America sono troppo lasche. Sembra un’idea ragionevole, ma pensateci un attimo: quando un cittadino europeo invia una mail con Gmail, probabilmente i suoi dati transitano per l’America, e lo stesso vale se si prenota un hotel a Washington o si pubblica qualcosa sui social media. Gran parte dell’attività di internet sarebbe messa in crisi. Secondo l’avvocato generale questa forma di protezionismo digitale va fermata, e il transito dei dati deve continuare, ma con giudizio: l’Europa deve comunque vigilare e bloccare gli abusi. La sentenza definitiva arriverà nei prossimi mesi, ma l’opinione dell’avvocato generale traccia una linea: la difesa della privacy dei cittadini è una cosa diversa dal protezionismo.

 

Altra notizia, e questa è una sentenza della Corte: una catena di alberghi francese aveva fatto causa ad Airbnb sostenendo che l’azienda americana non è una piattaforma tecnologica ma una società immobiliare. Questo avrebbe significato la fine di Airbnb, perché le camere affittate da privati usando il servizio avrebbero dovuto essere considerate come camere d’hotel o immobili in affitto. La Corte Ue ha detto che la causa francese è sbagliata: Airbnb è una piattaforma, perché lascia ai suoi affittuari piena libertà di decidere prezzi, periodi d’affitto, servizi. Airbnb ha in corso aspre dispute con le città di mezza Europa, preoccupate per l’aumento degli affitti e lo spopolamento dei centri storici. Ci si aspetterebbe che l’Europa parteggi per le proprie capitali, da Parigi ad Amsterdam a Berlino. Invece la Corte ha messo un paletto: un conto è voler regolare Airbnb, un conto è volerlo distruggere. Protezione, mercato e innovazione: la ricetta europea non sempre funziona, ma quando trova l’equilibrio crea vantaggi per tutti.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.