John B. Goodenough (foto LaPresse)

Il Nobel comprensibile (finalmente!) alle batterie al litio, e cosa aspettarsi nel futuro

Eugenio Cau

Smartphone ed energia pulita. Premiati John B. Goodenough, M. Stanley Whittingham e Akira Yoshino

Milano. Dà un certo conforto poter comprendere l’ultimo Nobel per la Chimica, assegnato mercoledì. Tre bravi scienziati, un americano un britannico e un giapponese, sono stati premiati per avere inventato le batterie agli ioni di litio. Quelle dei telefonini e delle macchine elettriche. Immediato, facile, finalmente. Lo sappiamo che è giusto che i premi Nobel vengano attribuiti a chi ottiene risultati in studi complicati e astrusi, perché è così che funziona la ricerca di base, e soprattutto perché in un mondo sempre più avanzato i problemi che ci restano da risolvere sono i più complessi. Abbiamo debellato il morbillo (lo avremmo fatto, se non fosse per certi gruppetti irresponsabili), ma le prossime malattie da debellare sono più feroci e più complicate, e dunque ben vengano ricerche e premi Nobel di cui noi comuni mortali non capiamo niente. Significa che i problemi di cui capiamo qualcosa sono meno gravi di prima. Ma ecco, almeno una volta ogni tanto, è rincuorante capire perché diamine un premio Nobel è stato assegnato. Perché se siamo certi che “la visualizzazione fagica di peptidi e anticorpi” (premio Nobel per la Chimica 2018) sia un passo fondamentale, noi purtroppo non capiamo che passo è. Ma con le batterie agli ioni di litio è un’altra storia, ne abbiamo una in tasca, e visto che siamo ossessionati dal mantenerla carica, e visto che compriamo altre batterie agli ioni di litio per tenere carica la batteria che sta dentro allo smartphone sappiamo bene, insomma, quanto siano importanti.

 

I tre scienziati premiati per l’invenzione sono John B. Goodenough della University of Texas, M. Stanley Whittingham della Binghamton University e Akira Yoshino della Meijo University. Il loro lavoro è un’eccezionale collaborazione a distanza. Whittingham, che oggi ha 77 anni, fu il primo a capire che il litio poteva essere utilizzato in una batteria. Era l’inizio degli anni Settanta, quando la crisi petrolifera faceva temere che il mondo avrebbe dovuto sbrigarsi a creare energia pulita e macchine elettriche (un po’ come adesso, soltanto che adesso è più urgente). Purtroppo le batterie di Whittingham avevano alcuni problemi che potevano provocarne l’esplosione, e fu Goodenough, che oggi ha 97 anni ed è il più anziano vincitore di Nobel della storia, a risolverli. Infine Yoshino, che oggi ha 71 anni, capì che al posto del litio puro si potevano mettere nelle batterie gli ioni di litio, che erano più sicuri. Fu lui a produrre la prima batteria agli ioni di litio pronta per il commercio, nel 1985. Da allora sappiamo cos’è successo. Le batterie al litio hanno gradualmente soppiantato tutte le altre e ci hanno liberato dalla schiavitù del cavo. Computer portatili, smartphone, tablet non durerebbero mezz’ora, senza il litio, il litio ci ha dato automobili elettriche con buone prestazioni ed è essenziale per immagazzinare l’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici ed eolici. C’è chi, come Elon Musk, pensa che presto avremo in casa gigantesche batterie per conservare l’energia prodotta dai pannelli solari installati sul tetto.

 

Adesso, però, non vediamo l’ora che l’Accademia di Stoccolma conferisca il Nobel a chi sarà in grado di superarle, le batterie al litio. Perché se la loro introduzione è stata la salvezza di gran parte dello sviluppo tecnologico, ormai le batterie sono l’anello debole nell’avanzamento di molte tecnologie. Il problema è che la legge di Moore non funziona per le batterie. Gordon Moore teorizzò nel 1965 che il numero di transistor nei microchip (e dunque la loro potenza) sarebbe raddoppiato ogni anno. La legge è ancora attuale, e ogni anno i transistor nei microprocessori raddoppiano e raddoppiano. Ma non si può dire lo stesso per la capienza delle batterie, che migliora e diventa più efficiente, sì, ma lentamente. I computer e gli smartphone potrebbero sviluppare una potenza di calcolo eccezionale e risolvere nuovi problemi, ma non c’è ancora una batteria in grado di reggerla.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.