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Nonostante le promesse di Facebook, sul social vincono sempre i populisti

Eugenio Cau

Un nuovo studio e il caso tedesco

Milano. Sono passati tre anni da quel 2016 che ha donato all’occidente l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, la vittoria della Brexit nel referendum in Regno Unito e la consapevolezza che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in come funzionavano i social network. Da allora molte cose sono cambiate, ma una questione è immutata: i social network, e Facebook in particolar modo, non sono ancora un posto sicuro per le nostre democrazie. Nel 2016 l’impressione, poi confermata dalle analisi degli esperti, era che le forze populiste avessero monopolizzato la discussione online. Un insieme di manipolazione delle dinamiche dei social, di utilizzo di bot e altri strumenti poco leciti e di sano engagement, unito spesso a un aiutino esterno dalle troll farm legate al Cremlino, fecero in modo che l’agenda politica sui social network fosse dettata dai temi e dalle istanze dei populisti, che si trattasse delle fake news su Bruxelles che mette in ginocchio il sistema sanitario inglese o dell’ultima polemica twittarola di Trump. Non c’è modo di capire quanto e come i social network spostino voti, e dunque è impossibile dire in maniera scientifica se queste operazioni portarono vantaggio elettorale ai populisti, ma fu Brad Parscale, il capo della campagna digitale di Donald Trump, a dire che l’uso di Facebook aiutò il presidente a vincere le elezioni. Facebook e gli altri social network promisero soluzioni, approntarono grandi riforme, dissero che erano pronti ad affrontare le prossime contese elettorali. Non è vero.

 

Uno studio della George Washington University da poco uscito ha mostrato, per esempio, che in Germania durante la campagna elettorale per le elezioni europee di quest’anno il partito populista di estrema destra Alternative für Deutschland ha avuto una rappresentazione spropositata su Facebook, pur essendo una forza politica relativamente piccola, che ha ottenuto l’11 per cento dei voti alle elezioni di maggio scorso. Nonostante lo scarso appoggio popolare, le pagine di AfD hanno ottenuto tra ottobre 2018 e maggio 2019 l’86 per cento delle condivisioni e il 75 per cento dei commenti di tutto il panorama politico tedesco su Facebook. Gli estremisti tedeschi hanno ottenuto questo risultato grazie a un attivismo che puntava molto sul social network: l’AfD ha aperto 1.663 pagine Facebook, più di tutti gli altri partiti combinati. Altre tecniche, tuttavia, non sembrano lecite. I ricercatori americani hanno trovato migliaia e migliaia di account apparentemente fasulli che diffondevano le parole d’ordine degli estremisti, e casi strani come il fatto che la pagina della sezione dell’AfD di Zweibrücken, un paese di 35 mila anime, aveva il 40 per cento dei follower che abitavano ad almeno 500 chilometri di distanza dalla cittadina. In questi giorni in Italia si racconta di come i social network siano invasi dalla grande battaglia tra la Bestia leghista e Rousseau pentastellato, un po’ come Godzilla vs King Kong, e abbiamo prova tutti i giorni di come le forze populiste siano ancora perfettamente in grado di manipolare il discorso sui social. Facebook dice di essere pronto a difendere la democrazia, i ricercatori dissentono.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.