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Tra Washington e Pechino c'è un terzo uomo: Terry Gou

Giulia Pompili

La sua Foxconn ha rivoluzionato l’economia dell’isola di Formosa, che ora punta tutto sul tech. Chi è il tycoon che vuole cambiare Taiwan e l’Asia

Questo articolo è stato pubblicato nel numero del Foglio innovazione di maggio. Martedì 4 giugno il nuovo appuntamento con il mensile tech del Foglio a cura di Eugenio Cau che potete scaricare qui a partire dalle 23,30 di oggi, lunedì 3 giugno.

 


 

Uno dei primi suggerimenti di ricerca se si digita “foxconn” su Google è “suicide”. La storia risale al 2010, quando una ventina di dipendenti dell’impianto Foxconn di Shenzhen, in Cina, si tolsero la vita. Le inchieste giornalistiche misero in luce le condizioni di lavoro dei dipendenti, dalla pressione sociale ai turni massacranti fino ai contratti nei quali le famiglie degli impiegati perdevano ogni indennità post-mortem in caso di suicidio. La questione ebbe rilevanza internazionale soprattutto perché si trattava di Foxconn, cioè il colosso della produzione di componenti tecnologici da cui si riforniscono aziende come Apple, Nintendo, Amazon, Sony, praticamente il 40 per cento dei pezzi necessari per produrre tutto ciò che è tecnologico oggi, per un’azienda che ha quasi un milione di dipendenti in una decina di paesi diversi, tra Asia Europa e Sud America. All’improvviso Foxconn, e soprattutto quella che viene ancora oggi chiamata “la iPhone city”, cioè l’impianto di Shenzhen, era diventata “la fabbrica della morte”. Per ripulire l’immagine dell’azienda e contenere i danni, il fondatore, Terry Gou, iniziò una campagna per la sicurezza sul lavoro che ebbe un discreto successo.

 

Nella fabbrica di Shenzhen, che anche oggi è una delle più grandi del mondo, furono aumentati i salari, iniziarono corsi motivazionali, ai dipendenti venne fornito gratuitamente il sostegno di psicologi e religiosi. Il fondatore e presidente fu costretto ad accompagnare quasi duecento giornalisti nella sua fabbrica più redditizia, tra i dormitori e le aree comuni, per mostrare il volto umano della produttività. Neanche dieci anni dopo quello scandalo, Terry Gou ha deciso di scendere in campo e candidarsi alla presidenza di Taiwan. A metà aprile, in un discorso pronunciato in hokkien, la lingua più parlata sull’isola di Taiwan, ha detto che la dea Mazu, la dea dei mari secondo la mitologia cinese, le era venuta in sogno: “Fai un passo avanti per aiutare il popolo di Taiwan”. La dea dei mari aveva anche aggiunto di “fare da garante alla pace nello Stretto”. A inizio maggio, durante un incontro con i giornalisti, Gou è tornato sull’aspetto più trascendentale della sua campagna elettorale: “Taiwan è una parte inseparabile della Cina. E gli dèi sono d’accordo con me al cento per cento”. L’altro grande sponsor di Terry Gou non ha niente di divino, ma ha l’aspetto del tycoon occidentale a cui si ispira: il presidente americano Donald Trump. Qualche giorno fa Gou è volato a Washington a incontrare Trump e da lui ha incassato un appoggio senza condizioni per la corsa alla presidenza. Ma tutto ruota intorno a un enorme investimento di Foxconn in Wisconsin, lo scorso anno Gou e Trump avevano usato la pala per inaugurare i lavori, che sono fermi ormai da un po’ “per motivi meteorologici”, e nessuno sa se davvero quei diecimila posti di lavoro arriveranno mai in America. Nel frattempo, però, durante la peggiore crisi diplomatica tra Washington e Pechino, le alleanze sono fatte.

 

Perché tutto quel che riguarda Foxconn è legato non solo alla guerra tecnologica, alla corsa ai brevetti, alla crescita esponenziale di un settore che negli ultimi decenni ha rivoluzionato l’economia, ma anche al tormentato rapporto tra la Cina continentale e l’isola al di là dello stretto omonimo che lotta da decenni per la sua indipendenza da Pechino. Terry Gou è l’uomo d’affari più influente di Taiwan, e la sua azienda ha trasformato il mondo del business e le priorità del governo di Taipei: è infatti grazie al traino del “titano della manifattura tech” che l’isola di Formosa ha puntato tutto sulla scienza applicata, e oggi è una delle regioni che più stanno spingendo per creare poli tecnologici autosufficienti, dove si studia, si brevetta e si produce robotica, intelligenza artificiale, componenti per la produzione tecnologica. E insomma Gou è una leggenda del mondo tech, al pari di Steve Jobs, ma sulla sua figura, come spesso avviene in Asia, non si possono applicare le etichette occidentali. Non è un guru, non si muove secondo le regole del miliardario della Silicon Valley, e il suo modello imprenditoriale è quello del grande riscatto sociale asiatico. Di lui si dice che una volta abbia costretto Steve Jobs a dargli il suo biglietto da visita (una pratica di educazione in Asia), che non abbia alcun ritegno nel demolire le fortune altrui (come quando disse che Warren Buffett era troppo vecchio per fare ancora l’uomo d’affari), ad avere un’idea precisa e piuttosto eccentrica del business (alcune frasi che vengono attribuite a Gou sono ormai leggende che si tramandano per via orale, e nessuno sa più se le abbia davvero mai pronunciate, come “le persone affamate sono quelle con la mente più lucida”, e “un ambiente ostile è più produttivo”), e che soltanto due persone lo hanno affascinato davvero: Jack Ma e Masayoshi Son. Il primo, il fondatore di Alibaba – e uno degli uomini chiave della riscossa globale della Cina continentale – è stato addirittura invitato in una delle convention di Foxconn. Son, il fondatore della giapponese Softbank, ha creato un impero dalla fame. Proprio come Terry Gou.

 

Figlio di un poliziotto di Banqiao, nel municipio di Taipei, i genitori di Gou erano originari della provincia dello Shanxi, a ovest di Pechino. Nel 1949, sul finire della guerra civile cinese, i Gou seguono Chiang Kai-shek a Taiwan per costituire la Repubblica di Cina. L’anno successivo nasce Terry, che cresce come primo figlio con due fratelli, e riesce ad andare all’università e contemporaneamente a lavorare in una fabbrica di gomma. A ventiquattro anni, nel 1974, fonda la Hon Hai (che è il vero nome della Foxconn), quando era già sposato e la crisi economica rendeva difficile per la sua famiglia anche solo acquistare il riso per tutti. Apre una piccola fabbrica in cui assembla oggetti di plastica a Tucheng, vicino Taipei, e dopo sei anni arriva il primo vero salto di qualità: una commessa di Atari, l’azienda simbolo dei videogiochi anni Ottanta e Novanta, che gli chiede di produrre alcuni joystick per console. Terry mette da parte dei soldi e riesce a organizzare quello che nelle sue biografie viene raccontato come un tour epico di undici mesi negli Stati Uniti, dove con “ottime doti imprenditoriali” porta a casa altri contratti, e da lì nel 1988 decide di aprire la prima fabbrica di assemblaggio nella Cina continentale, a Shenzhen, che già da otto anni il presidente cinese Deng Xiaoping aveva deciso di trasformare nella capitale del tech asiatico. Alle vicende imprenditoriali si intrecciano quelle personali: la sua prima moglie, Serena Lin, muore nel 2005 per un cancro al seno, due anni dopo suo fratello Tony muore per una leucemia. Nel 2008 si risposa con la coreografa Delia Tseng, di ventiquattro anni più giovane di lui, ci fa tre figli insieme, poi viene coinvolto in una serie di scandali sessuali, prima paga e poi denuncia il ricatto, ma comunque resta Terry Gou, l’intoccabile. Il giorno dopo l’annuncio della sua candidatura, dice ai giornalisti che la moglie Delia lo ha lasciato.

 

“Ci sono diversi modi per descrivere Terry Gou. Alcuni lo chiamano ‘dinamico’, altri dicono che è ‘ispirato’”, ha scritto Tomohiro Otsuki, presidente della Techno Market Research, “Ma ci sono due parole cinesi che lo definiscono al meglio. Una è ‘baqi’, che significa ‘appassionato’, l’altro è ‘qinglian’ ovvero ‘onesto’, ​​che descrive una persona non corrotta e che rinuncia a tutte le forme di nepotismo”. Il sottile riferimento al populismo della campagna elettorale di Gou, che è iniziata neanche un mese fa, è tutto in questa descrizione. La vicinanza del presidente di Foxconn al Kuomintang, il partito nazionalista sconfitto per la prima volta nel 2016, è nota da tempo. Il 22 maggio prossimo Gou parteciperà alle primarie del Partito e poi, quasi sicuramente, tra un anno, sfiderà il candidato del Partito democratico progressista, e anche qui bisognerà vedere chi vincerà alle primarie, tra l’attuale presidente Tsai Ing-wen e William Lai. Fino a oggi Tsai ha avuto un atteggiamento piuttosto pragmatico con la Cina ma comunque sempre con il fine ultimo dell’indipendenza – al contrario dei falchi del Partito democratico, che vorrebbero una linea molto più dura anti Pechino. Dall’altra parte c’è il Kuomintang, che spinge invece per una collaborazione con la Cina continentale più fruttuosa, anzi ineluttabile. Come quella di Foxconn.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.