Foto Sean Davis via Flickr

Così il mondo risponde alla sfida di Putin sull'intelligenza artificiale

Antonio Grizzuti

Cina all'avanguardia, sottovalutata dagli Stati Uniti. L'Europa investe e cresce. Numeri per capire il nuovo "momento Sputnik"

Difficile pensare che uno come Vladimir Putin usi parole a caso, specialmente quando in ballo c’è il futuro del mondo. Viene spontaneo dunque immaginare che l’occasione – l’apertura dell’anno scolastico che cadeva lo scorso 1° settembre – sia stata scelta con cura dal presidente russo per comunicare un messaggio per lui particolarmente importante. “L’intelligenza artificiale rappresenta il futuro, non solo per la Russia, ma per l’intera umanità. E porta con sé opportunità incredibili, così come minacce rischi difficili da prevedere. Chiunque assumerà la leadership in questo settore, diventerà il padrone del mondo” ha affermato di fronte a una platea di sedicimila studenti, a cui si aggiunge il milione che ha seguito il discorso in videoconferenza. La questione sollevata da Putin non è semplice nazionalismo. La lotta per accaparrarsi il primato nel campo dell’intelligenza artificiale è già in corso da diversi anni e somiglia in tutto e per tutto a una nuova guerra fredda che coinvolge le più grandi potenze mondiali. E che, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non rimane confinata ai laboratori delle grandi aziende private o nelle aule universitarie, ma mette in moto governi e istituzioni nazionali. La Cina innanzitutto, che di recente ha annunciato un massiccio piano di investimenti con lo scopo di conquistare la leadership nell’intelligenza artificiale entro il 2030.

 

Il Dragone vive quello che il New York Times ha definito con parole azzeccatissime un “momento Sputnik”, sottolineando il carattere pioneristico del momento in atto. Una politica che potrebbe sfilare agli Stati Uniti il primato in questa disciplina, come suggeriscono le parole di Andrew Ng, ex direttore scientifico di Baidu e guru dell’intelligenza artificiale a livello mondiale, che di recente ha definito la tentazione degli Stati Uniti di sottovalutare la corsa cinese “miope” e frutto di un’eccessiva fiducia in se stessi. Non solo Baidu, ma anche Tencent, Alibaba e decine di startup combattono sfilandosi l’un l’altra i manager più competenti. Anche in campo accademico si assiste a un’esplosione cinese. Nel periodo che va dal 2011 al 2015 Pechino ha pubblicato di gran lunga il numero più alto di paper dedicati al tema: quarantamila contro i venticinquemila degli Stati Uniti, gli undicimila del Giappone e i diecimila del Regno Unito (fonte THE su dati Elsevier/Scopus). L’Italia, per dovere di cronaca, è decima in classifica. Come spesso accade tuttavia quantità non fa rima con qualità. Considerando la classifica per impact factor (il criterio di valutazione delle pubblicazioni universitarie che tiene conto del prestigio della rivista e del numero di citazioni) la Cina scivola al trentaquattresimo posto. Prima risulta la Svizzera, seguita da Singapore, Hong Kong, Stati Uniti e Italia.

 

Non c’è solo la Cina a fare da capofila a questa nuova corsa agli armamenti tecnologica. Il Giappone possiede una struttura sociale ideale per il proliferare dei dispositivi basati sull’intelligenza artificiale. L’invecchiamento della popolazione sta già provocando l’introduzione nel welfare state di robot che si occupano di assistenza agli anziani. Inoltre, il basso tasso di disoccupazione e l’assenza di addetti nei settori più pesanti come l’edilizia fanno sì che l’avanzata dell’automazione non venga vista come una minaccia ma addirittura una possibilità di sviluppo. Secondo Pascale Fung, docente di Elettronica e Ingegneria informatica alla Hong Kong University of Sciene and Technology, “molte università e aziende asiatiche stanno diventando sempre più aggressive nello sviluppo di queste tecnologie perché la domanda del mercato aumenta”. Un altro fattore è rappresentato dalla lingua: “Paesi con popolazione molto numerosa e omogenea come la Cina, il Giappone e la Corea sono mercati ideali per l’intelligenza artificiale”. Tuttavia – fa notare la Fung – “il governo americano e l’Unione Europea rimangono forti investitori in questo campo, anche grazie alla loro capacità unica di attrarre talenti da tutto il mondo”.

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