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La startup che insegna alle auto a guidare (bene) da sole

Antonio Grizzuti

Le driverless car possono essere la soluzione a molti problemi del traffico. Ma bisogne "ripensare completamente il rapporto tra le persone e i mezzi di trasporto”. Parla Tory Smith, Program Manager di Drive.ai

“Ripensare completamente il rapporto tra le persone e i mezzi di trasporto”, è questo il motto di Drive.ai, una startup fondata meno di un anno da un gruppo di ricercatori provenienti dallo Stanford University’s Artificial Intelligence Lab, e già inserita tra le prime cento aziende private più promettenti nel campo dell’intelligenza artificiale. Abbiamo discusso dei progetti futuri dell’azienda e dei possibili sviluppi del mercato delle auto a guida autonoma con Tory Smith, già ricercatore alla Ford e oggi Technical Program Manager & Partner Operations a Drive.ai.

 

Secondo uno studio McKinsey entro il 2030 il 15 per cento delle auto vendute potrebbe essere a guida completamente autonoma, e nel 2040 nove auto su dieci potrebbero appartenere a questa tipologia. Cifre importanti per un mercato che in quella decade è destinato a muovere qualcosa come 6,7 mila miliardi di dollari.

 

Non si tratta però solo di una questione economica: nel 2015 gli incidenti stradali hanno rappresentato la decima causa di morte nel mondo. Ogni anno la strada miete 1,25 milioni di vittime e dai venti ai cinquanta milioni di feriti. Tanto per rendere l’idea dei numeri in gioco è come se ogni giorno si schiantassero al suolo dai sei ai sette Boeing 747.

 

Il team di Drive.ai crede che la chiave del successo del settore della guida autonoma passi per il deep learning, l’insieme di tecniche che utilizza i big data per istruire le macchine. E’ proprio questo approccio che contraddistingue la startup californiana dagli altri competitor presenti sul mercato. “L’approccio convenzionale alla guida autonoma è quello basato sulla robotica, nel quale lo scienziato deve dettagliare i compiti da eseguire attraverso specifiche e ben dettagliate istruzioni” spiega Smith. “Questo può funzionare quando siamo in presenza di strade specifiche e già conosciute, ma quando si cambia location la musica cambia”. Il discorso, in altre parole, riguarda più che altro il concetto stesso di guida. “Un uomo non deve imparare a guidare ogni volta che cambia città o paese: analogamente lavoriamo per sviluppare l’intelligenza artificiale in modo che impari determinati comportamenti di guida, piuttosto che percorsi specifici. Facciamo leva su questo concetto per raggiungere su scala l’obiettivo della guida autonoma”.

“Questo è possibile” – spiega il nostro interlocutore – “grazie alla miriade di sensori posizionati sulle auto, utili per raccogliere il maggior numero di informazioni, che vengono sfruttati per insegnare al software come prendere decisioni sulla falsariga di quelle umane”. “Una volta che abbiamo una base dati sufficiente grande” precisa Smith “il nostro software impara a comprendere concetti di grado superiore. Ad esempio, anziché vedere un quadrato di pixel il programma può essere addestrato a riconoscere un pedone, un altro veicolo o un semaforo, e anche come reagire di fronte a ciascuno di questi elementi”.

 

Il futuro sembra tutto in discesa: “La natura della mobilità è destinata a cambiare totalmente e il deep learning e l’intelligenza artificiale stanno gettando le basi di questa trasformazione” dichiara entusiasta il manager. “Ogni grande innovazione tecnologica porta con sé grandi cambiamenti. Senza dubbio ci aspettiamo un periodo di transizione, ma nel lungo periodo siamo fermamente convinti che le auto a guida autonoma contribuiranno a rendere il mondo un luogo migliore”.