Non siamo al solito clone. Uno scisma nel mondo Bitcoin ora è possibile

Giacomo Zucco
“Bitcoin comunità” sta affrontando in queste settimane una profonda lacerazione, che potrebbe espandersi a “Bitcoin rete” e di conseguenza al valore di “Bitcoin oro digitale”.

Roma. La parola “Bitcoin” indica diverse realtà: un codice informatico “open source”; la rete di computer che lo fa girare; la riserva di “oro digitale” che può essere trasmessa senza intermediari sopra questa rete; la comunità di utilizzatori, programmatori e “minatori” (coloro che guadagnano “oro digitale” validando le transazioni altrui). “Bitcoin comunità” sta affrontando in queste settimane una profonda lacerazione, che potrebbe espandersi a “Bitcoin rete” e di conseguenza al valore di “Bitcoin oro digitale”. La divisione nasce da una diatriba tecnica relativa alle dimensioni dei blocchi, cioè delle “pagine” del registro contabile condiviso che tiene traccia di ogni transazione. Già inizialmente emerse la possibilità, da parte dei minatori dotati di maggiore potenza di calcolo, di attaccare la rete creando blocchi molto grandi: se diffuso, l’attacco avrebbe portato al fallimento i minatori più piccoli, creando una progressiva centralizzazione della rete e rendendola quindi più esposta a tentativi di controllo da parte dei suoi “predatori naturali” (enti regolatori, Banche centrali e istituzioni finanziarie). Per ovviare a questo problema, i creatori di Bitcoin inserirono nel codice un limite fisso alle dimensioni dei blocchi. Ma ogni scelta ha un costo, e la decentralizzazione della rete è stata tutelata a scapito delle dimensioni delle “pagine” del libro mastro di Bitcoin, che con questa limitazione può ora gestire circa tre transazioni al secondo: una media scarsa se confrontata con quelle dei “vecchi” sistemi di pagamento centralizzati e fiduciari (115 transazioni al secondo per PayPal, 2.000 per Visa). Cosa accadrebbe se Bitcoin fosse adottato in massa? I minatori validerebbero solo le transazioni che pagano più commissioni, escludendo le altre: un sistema di pagamento oggi pubblicizzato anche per la sua economicità (è infatti possibile inviare l’equivalente in Bitcoin di diversi milioni di euro pagando solo pochi centesimi di commissione) diverrebbe man mano più costoso. Certo: il limite potrebbe essere semplicemente alzato, ma riemergerebbe il problema della possibile centralizzazione. Per uscire dall’impasse, gli esperti stanno lavorando su nuove reti parallele che possano essere costruite “intorno” a Bitcoin, permettendo di anticipare transazioni piccole, veloci ed economiche a fronte di un riallineamento periodico più lento sulla rete principale. Ma queste alternative, a detta di alcuni, non stanno progredendo abbastanza in fretta: c’è intanto il rischio di tenere fuori una grossa fetta di nuovi utenti.

 

Oro digitale e nuovi hacker-cardinali
Il dibattito tecnico si è anche inserito in un più ampio scontro tra visioni “politiche” differenti: da un lato chi ha come priorità quella di mantenere Bitcoin indipendente, ingovernato e ingovernabile, anche a costo di rallentarne l’adozione di massa, dall’altro chi vuole che questa tecnologia arrivi subito nelle mani dell’uomo della strada, anche a costo di qualche compromesso sulla centralizzazione, se non addirittura su regolamentazione e controllo. Lo scontro si è progressivamente inasprito negli ultimi due anni, senza sfociare in alcuna soluzione: Bitcoin è stato infatti espressamente disegnato per rendere difficilissimo implementare modifiche controverse. Frustrato dall’attesa, un ex tecnico di Google, Mike Hearn (che già da tempo premeva per allontanare Bitcoin da esperimenti “anarchici” come il predecessore eGold, avvicinandolo alla tranquilla adozione mainstream che ha caratterizzato, per esempio, l’evoluzione di PayPal), ha ora deciso di andare avanti da solo: se la struttura di Bitcoin non può essere riformata dall’interno, Hearn intende superarla dall’esterno, creando una nuova variante su misura. Pochi giorni fa, l’annuncio: con l’aiuto dello storico programmatore Gavin Andresen, Hearn ha preso il codice di Bitcoin e l’ha copiato in un nuovo progetto, “Bitcoin XT”, alterandolo in modo tale da permettere blocchi più grandi (e introducendo anche altre modifiche piuttosto controverse).

 

E’ importante notare la differenza tra questo scenario e le cosiddette “Altcoin”, i cloni di Bitcoin che si sono moltiplicati negli ultimi anni. Il codice di Bitcoin è libero e aperto: chiunque lo può scaricare, leggere ed eventualmente alterare, ma quando si modificano alcune regole fondamentali la rete non riconosce più il nuovo programma, che esce dal consenso e finisce su un network alternativo. Chiunque, insomma, può costruire una propria alternativa a Bitcoin con le caratteristiche che preferisce e provare a diffonderla ripartendo da zero, alla ricerca di utenti e minatori. I primi esempi di “Altcoin” hanno ricevuto un certo interesse (specie da chi aveva “perso il treno” della distribuzione iniziale dei bitcoin, e sperava in una seconda occasione di arricchimento), presto però è divenuta chiara l’impossibilità di replicare la salienza e l’unicità dell’originale: sono arrivati nuovi cloni, poi i cloni dei cloni e così via (esiste persino un sito internet che permette a chiunque di crearsi e di diffondere la propria “Altcoin” con pochi clic). Nessuno ha mai raggiunto una seria capitalizzazione di mercato, un’accettazione da parte di esercenti e utenti, una vera sicurezza informatica.

 

“Bitcoin XT” è diverso. Non punta semplicemente a essere un clone di Bitcoin in quanto codice, ma anche di Bitcoin in quanto rete, ereditando il libro mastro originale e tuttavia gestendolo con nuove regole. In caso di diffusione della nuova variante presso alcuni centri nevralgici, molti utenti comuni si ritroverebbero su di essa senza accorgersene. Un simile “scisma” viene chiamato in gergo tecnico “hard fork”, ma il primo termine, mutuato dalla storia della religione, è forse più esplicativo. La proliferazione delle “Altcoin” potrebbe essere paragonata all’esplosione del protestantesimo e delle chiese riformate: a fronte di alcuni limiti della chiesa cattolica, alcuni religiosi prendono in mano direttamente il Vangelo per costruire una nuova chiesa, con una nuova dottrina e un nuovo clero… che però una volta rotto il tabù dell’unicità si divide in due nuove chiese, e poi tre, e poi quattro, e così via, tanto che non esiste un vero e proprio corpus dottrinale “protestante”. Un “hard fork” assomiglia invece di più allo Scisma anglicano: non tanto la creazione di una nuova chiesa a partire dai testi evangelici, quanto il “dirottamento” sotto una nuova guida, con il pretesto di disaccordi dottrinali, della struttura ecclesiastica esistente. Quasi tutti i vescovi cattolici inglesi si trasformano in vescovi della nuova chiesa d’Inghilterra, i fedeli battezzati passano da una chiesa all’altra in modo repentino, le proprietà religiose finiscono sotto il controllo del Re e la nuova struttura si dichiara in completa continuità con la chiesa preesistente. Nonostante Mike Hearn, come Enrico VIII, sia effettivamente inglese, i limiti di questo parallelo sono evidenti: lo Scisma anglicano è relativo a un territorio limitato e ben definito, mentre fuor di metafora si parla di una variante che mira a sostituirsi alla rete Bitcoin in senso globale. Conviene forse tornare a un esempio storico precedente: lo Scisma d’occidente, un periodo di confusione caratterizzato da papi, anti papi, cardinali nominati dagli uni e dagli altri, un fuoco incrociato di scomuniche reciproche, una crisi dell’intera cristianità in cui entrambe le parti sostengono di essere in continuità con la gerarchia e con la dottrina, lasciando i fedeli disorientati. Lo Scisma d’occidente si risolse, dopo 40 anni, con l’elezione di Papa Martino V. Nel caso in cui si consumasse un vero scisma su Bitcoin, non è detto che si riuscirà a ricomporre il tutto: gli hacker, si sa, sono teste calde, anche più dei cardinali.

Di più su questi argomenti: