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Tra vent'anni cosa resterà dei dischi musicali? Soluzioni tech (per ora)

Redazione
Un amanuense moderno contro la maledizione del digitale: tecnologie innovative per recuperare le registrazioni che si temevano perdute. Ma tutto ha una scadenza

Roma. Alcuni esperti di tecnologia dicono da tempo che l’èra digitale è la più grande minaccia alla cultura umana dal tempo delle invasioni barbariche. Chiedete al bibliotecario di un grande ente archivistico: certi libri riposano sugli scaffali da secoli, perfetti come il giorno in cui sono stati scritti, solo un poco più ammuffiti. Ma gli ebook? Questi libri immateriali che non stanno sugli scaffali e hanno bisogno di un device di plastica per essere letti, quanto potranno durare? I device cambiano ogni anno, i formati si evolvono, la tecnologia rende obsoleti i vecchi servizi. L’esempio del floppy disk è quasi un cliché, ma è perfetto. Ora che le nostre vite si stanno trasferendo sempre di più online, scienziati e archivisti si chiedono con urgenza sempre maggiore come salvare la nostra cultura in pericolo. La cultura musicale ha un problema di supporti fin da prima del digitale, i cd, i vinili e, per esempio, i cilindri di cera del fonografo di Edison di primo Novecento si deteriorano facilmente – tutti in casa abbiamo un disco che salta e ormai è inascoltabile anche se comprato di recente. Molte registrazioni rischiano di andare perdute per sempre, per alcune è già successo, altre sono state salvate in extremis.

 

Il Wall Street Journal pochi giorni fa ha raccontato dell’impresa di Carl Haber, fisico americano del Lawrence Berkeley National Laboratory, che grazie a un equipaggiamento ottico ad alta tecnologia creato durante lo sviluppo del Large Hadron Collider, il più potente acceleratore di particelle del mondo, da quindici anni riesce a salvare e a recuperare delle registrazioni considerate ormai perdute, o quasi. Haber ha sviluppato una tecnologia che riesce a trasformare i solchi sui dischi in immagini da cui estrarre dati per trasferire in formato digitale il contenuto di vecchie registrazioni senza davvero suonarle – dunque senza rischiare di rovinarle ancora più irreparabilmente –, anche quando il disco è inutilizzabile con supporti tradizionali. La tecnologia di Haber consente anche di restaurare il suono, e di ricostruire alcune parti troppo danneggiate per risultare comprensibili. Lo scienziato, che per lavoro fa il fisico e non aveva originariamente pensato di applicare la sua ricerca alla musica, ha già recuperato dischi musicali che si consideravano perduti, registrazioni ottocentesche della voce dell’inventore americano Alexander Graham Bell, nastri etnografici di primo Novecento che analizzano i linguaggi di tribù scomparse.

 

Il Wall Street Journal definisce Haber come “il fisico che sta salvando la musica”. Resta un problema, però. Haber non dice come le registrazioni “salvate” sono a loro volta salvate. Ogni disco produce un file da molti gigabyte, che probabilmente sarà immagazzinato in un qualche hard disk. Ma qui il dilemma si ripete, eterno: cosa succederà a quegli hard disk tra venti o cinquanta anni? Perché le registrazioni di Haber in realtà sono solo passate di supporto, in attesa dell’arrivo di un nuovo salvatore.

 

[**Video_box_2**]E’ la maledizione dell’èra digitale, che ha instillato nell’uomo una nuova ansia per l’effimero. Dalle fotografie alla musica agli ebook la trasmissione della cultura oggi avviene su supporti che rischiano di non sopravviverci. Sarà una catastrofe, perché nell’ultimo secolo la produzione di contenuti è aumentata incredibilmente, e soluzioni come quella di Haber ricordano quelle degli amanuensi medievali: si salva il più possibile, sapendo che molto andrà perduto.

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