Getty
il foglio sportivo
“Vestire lo sport all'italiana”. Pavanello racconta Macron, l'azienda italiana che ha più club in Europa
L’azienda emiliana che ha rivoluzionato l'abbigliamento sportivo sfida i colossi globali con la sua qualità e il suo stile italiano. L'obiettivo è portare l’eccellenza italiana in ogni angolo del pianeta, vestendo oltre 100 club e nazionali in Europa. Un successo che cresce ogni giorno, con un futuro sempre più ambizioso
È tutto pulito, tutto ordinato e pronto per essere spedito in giro per il mondo a vestire gli appassionati di sport. Ci sono locali che sembrano atelier di moda o quei reparti della motor valley dove Ferrari, Maserati o Lamborghini ti vestono le fuoriserie su misura del cliente. Poi ce ne sono altri dove sembra di entrare in un magazzino di Amazon. Siamo a Valsamoggia, al Macron Campus dove si sono messi in testa di fare concorrenza ai colossi del settore come Nike o Adidas, almeno nell’abbigliamento, perché qui di scarpe non se ne producono. A dire il vero al Macron Campus non si produce nulla. Qui si idea, disegna, progetta, prototipa e si rifinisce. “L’importante è che il valore aggiunto dell’azienda sia in Italia. Esattamente come Apple che pensa ai suoi prodotti a Cupertino, ma poi li fa produrre all’estero. Credo che al discorso del made in Italy va agganciato un ragionamento: per il paese è importante che un’azienda abbia il cervello in Italia e qui tenga i lavori ad alto valore aggiunto. Poi chi se ne frega se la parte manuale la faccio in giro per il mondo”, sostiene Gianluca Pavanello, ceo e socio di Macron dal dicembre 2004 dopo la laurea a Bologna, il Master alla Bocconi e cinque anni alla McKinsey. Pavanello è un ceo che puoi vedere nella palestra aziendale se arrivi presto in ufficio, un ceo che spegne la luce quando esce dal suo ufficio e raccoglie un tovagliolino di carta che qualcuno ha lasciato cadere a terra in mensa. Gli piace dare l’esempio. Quando è arrivato in azienda, Macron produceva 10 milioni di fatturato, oggi arriva a 250 e osservando i lavori in corso attorno al Campus non ha intenzione di fermarsi. “Però c’è gente che ha fatto molto meglio di noi – dice – noi pensiamo di aver svolto un discreto lavoro con molta determinazione e molta disciplina. Sono ossessionato dal fatto che bisogna cercare tutti i giorni di realizzare ogni cosa al meglio. E se uno lavora bene non deve essere un fenomeno. Noi non mandiamo razzi su Marte, non facciamo cose impossibili, ci cimentiamo sicuramente in un contesto molto competitivo e per essere più bravi degli altri, perché per acquisire quote di mercato bisogna essere più bravi degli altri, bisogna essere più attenti, più disciplinati, più meticolosi in ogni singola cosa: come rispondiamo al telefono, come scriviamo un’email, fino a come progettiamo il prodotto, come pensiamo alle campagne di comunicazione…”.
Gli chiediamo di raccontare Macron con tre parole: “Performance, stile italiano e ossessione per la qualità e i dettagli. Siamo orgogliosi delle nostre radici italiane: vogliamo portare nella performance il nostro stile italiano”. Anche per questo all’interno di tutti i prodotti Macron c’è la scritta “Designed in Bologna”. Un valore aggiunto. Ripercorrendo la storia dell’azienda verrebbe da aggiungere anche la parola coraggio. Nata nel 1971 come negozio di articoli sportivi, soprattutto importati dagli Stati Uniti per il baseball e trasformatasi poi in azienda manifatturiera creando il proprio marchio negli anni Novanta, Macron oggi genera più dell’80 per cento dei suoi ricavi sui mercati internazionali. “Credo che il coraggio valga per tante aziende che sono cresciute attraversando periodi di difficoltà. Coraggio e determinazione servono a non farsi abbattere. Quando le cose sembrano andare male io dico che è come quando scali una montagna. Solo quando sei in cima vedi che cosa c’è dall’altra parte…”. Pavanello ha visto dall’altra parte durante la pandemia, quando ha deciso di mettersi a produrre mascherine e tute anti Covid: “In quel momento siamo partiti per un viaggio di cui non potevamo sapere quale sarebbe stata la fine. A febbraio 2020 ci siamo detti: è come essere in guerra, dobbiamo provare a fare qualcosa di utile. Abbiamo cominciato con 50, 100mila mascherine, totalmente inconsapevoli di cosa sarebbe capitato. Ma buttarci e avere coraggio fa parte del nostro dna”. Alla fine sono stati prodotti oltre 53 milioni di dispositivi di protezione individuale, di cui 36 milioni di mascherine. E i profitti di quei mesi sono stati distribuiti ai partner in giro per il mondo: “Prima abbiamo restituito tutto quanto avevamo trattenuto con la cassa integrazione pagando anche i bonus e mettendo al sicuro tutto il nostro team, poi abbiamo aiutato i nostri partner che erano rimasti forzatamente chiusi. Dovevamo proteggere il nostro network perché era ovvio che la ripartenza sarebbe stata dura per tutti”. Si parla dei 191 Macron Sports Hubs in giro per il mondo (erano 100 all’epoca), i terminali commerciali dell’azienda.
La prima sponsorizzazione è quella con il Bologna nel 2001. Si è cominciato giocando in casa, per arrivare oggi a essere sponsor tecnico di oltre 100 club professionistici, squadre nazionali e federazioni di diversi sport in più di 25 paesi, addirittura gli arbitri, inclusi quelli Uefa. Le Nazionali azzurre di rugby, basket, ma anche quelle di cricket e di bocce vestono Macron. “Abbiamo tantissime società nel calcio e in Europa abbiamo probabilmente più club di Nike e Adidas, anche se loro hanno squadre che sono numericamente più importanti. Però noi siamo in tantissimi paesi ed è una strategia che funziona perché a noi interessa coprire più mercati possibile e avere dei top club in ogni paese sarebbe costoso. A noi piace l’idea di trovare squadre dal grande potenziale e crescere con loro”. Nel rugby però tre squadre del Sei Nazioni vestono Macron e in passato c’è stato il Napoli con i tifosi che ancora oggi chiedono quelle magliette. “Ho trattato personalmente con De Laurentiis, Lotito, Cellino e Ken Bates del Leeds. Esperienze belle, complesse perché si tratta di manager di grandissima personalità, grandissimo ego. Ma anche questo ci ha aiutati a crescere”. Così come l’ingresso in società di Andrea Pignataro nel 2019: “Andrea non è operativo, ma avendo una storia imprenditoriale incredibile ha contribuito ad alzare ancora di più l’asticella e a pensare ancora più in grande”. Design, contenuti tecnologici, nuovi settori come i motori (partnership con Lamborghini e Ducati), l’ingresso nell’active fashion con una collezione lanciata con Elisabetta Canalis, il primo bilancio di sostenibilità appena pubblicato. Dove vuole arrivare Macron? “Siamo un’azienda che deve eccellere per il proprio prodotto e quindi investiamo molto in ricerca e sviluppo. Vogliamo che un ragazzino dica a mamma e papà: voglio giocare in quel club perché veste Macron… Dobbiamo continuare a crescere, il sogno è di creare una grandissima realtà italiana nello sport con le radici ben piantate nel nostro territorio. A me piace l’idea di un’azienda che crea valore e ripartisce i guadagni tra chi ci lavora. Già oggi siamo una public company con oltre 60 dipendenti che sono anche imprenditori dell’azienda attraverso azioni e stock option, poi magari in futuro potrà essere utile allargare ad altri soci e quotarci in Borsa… ma prima vogliamo portare la bandiera italiana in America e andare a conquistarla dalla Valsamoggia”.