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1932-2025
Nicola Pietrangeli ha continuato a essere la luce negli anni bui del tennis italiano
Il primo grande campione del tennis italiano è morto a 92 anni. La sua è stata una vita che molti gli hanno invidiato, ma che da un po’ faceva i conti con i bei tempi andati, perché quelli che andavano ora, grazie a Sinner e alla grancassa che si porta dietro, gli risultavano fastidiosamente assordanti
Le leggende sono per sempre, come i diamanti. E nessuno può cancellarle, nemmeno chi arriva dopo, molto dopo, e in breve, brevissimo tempo, diventa una leggenda più grande. Maledetto tempo, disse Francesco Totti al passo d’addio. Nicola Pietrangeli, scomparso a 92 anni dopo una vita bellissima, che molti gli hanno invidiato, da un po’ faceva i conti con i bei tempi andati, perché quelli che andavano ora, grazie al roscio nazionale e alla grancassa che si porta dietro su ogni campo, gli risultavano fastidiosamente assordanti.
Già, il buon Nick, icona dei nostri nonni, re di un tennis fatto di gesti nobili, divise rigorosamente bianche e serate con principi e sultani, nutriva un pizzico di invidia per Jannik Sinner e la sua dimensione nazionalpopolare, Un sentimento umanissimo, per carità: Pietrangeli riscontrava di essere percepito ancora, ovunque andasse, come un gigante del tennis, ma sentiva di essere stato definitivamente superato - attenzione, non cancellato - nei cuori e nelle considerazioni tecniche da Sinner. Un’impresa che ad Adriano Panatta, il primo a raccoglierne eredità e popolarità fin dagli anni Settanta, era riuscita solo in parte. Ma tanto era bastato perché i rapporti tra i due fossero distanti, per non dire freddi, anche, anzi soprattutto, quando si trattava di rievocare l’impresa del 1976, conquistata con Pietrangeli capitano ma sul campo grazie alle vittorie di Panatta and Co - impresa che al Pietrangeli giocatore, primo italiano a vincere uno Slam, non era riuscita - ma resa possibile dalla moral suasion, chiamiamola così, di quell’adorabile rompiscatole di Nicola Pietrangeli, che si vantava, lui uomo di destra ferocemente anticomunista, di aver convinto Pajetta, uno dei maggiorenti del Pci di Berlinguer, a non opporsi alla trasferta della Nazionale nel Cile di Pinochet. Il racconto di quella generazione tornava spesso nei ricordi e nelle provocazioni (gli piacevano) di Pietrangeli, con una ferita mai rimarginata: quando quella squadra chiese la sua testa e, di fatto, sentenziò la fine della sua carriera di capitano della Davis.
È stata una vita avventurosa, non c’è dubbio, quella di Nicola. Ha avuto un grandissimo amore - Licia Colò -, e tante, tantissime donne. È stato amico di principi, nobili, attori, attrici. Intimo dei Grimaldi di Monaco, raccontava spesso di quando aveva salvato un giovane Ocleppo dalle ire funeste di Ranieri perché ci aveva provato con una delle sue figlie. Qualche mese fa, aveva dovuto sopportare il dolore della perdita del figlio Giorgio.
In tarda età, l’aneddotica lo accompagnava ovunque lo invitassero. Negli ultimi tempi, quando si diradavano le domande sulle sue imprese, soppiantate dall’attualità delle vittorie di questa generazione tennistica, i racconti erano sempre tesi a rivendicare qualcosa: il record di presenze in Coppa Davis (irraggiungibile), aver incrociato e sconfitto Laver (“il più grande di tutti”), aver vinto prima degli altri (innegabile), aver frequentato un tennis da tanta gloria ma pochi soldi (“ah, se avessi giocato ai tempi di Sinner…”), essere stato un grande. Punto. Odiava chi specificava che lo fosse stato “in un’altra epoca”. A quel punto ribatteva: “Forse Meazza non è stato un grande perché giocava con degli scarpini diversi? O Thöni perché sciava con gli sci lunghi di un tempo?. Fatela finita con questa storia delle epoche”. Si arrabbiava e, a volte, risultava un po’ malmostoso. Come quando gli scappava una parola di troppo su Sinner, che ovviamente veniva subito mal interpretata.
Gli va dato atto - come ha sempre fatto Angelo Binaghi, che quando si trattò di scegliere tra lui e Panatta non ebbe dubbi - di aver tenuto in vita a livello di popolarità il tennis italiano nei momenti bui, quando una ventina di anni fa la Nazionale annaspava tra la serie B e C del tennis mondiale, e la classifica Atp era un pianto. Allora, avevamo solo il ricordo di Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta.
Oggi, sentiamo un grande vuoto che le imprese di Sinner non possono colmare. Giocherà a tennis anche nell’Altrove, dovunque sia: con l’eleganza che gli derivava dalle nobili origini russe, e la strafottenza che aveva assorbito nei circoli romani, soprattutto quando toglievano la rete e giocavano a calcetto. “Se piove, rimandiamo”, aveva intitolato così la sua autobiografia. Ad un certo punto, non si può rimandare più. Ciao Nicola.