
Ekaterina Antropova in finale contro la Turchia (LaPresse)
Il foglio sportivo
Le ragazze d'oro del volley hanno già un futuro
L’intuizione di Velasco permette ad Antropova di crescere senza l’urgenza di dimostrarlo ogni volta: “Nei momenti di difficoltà scopriamo delle risorse incredibili. In questa squadra tutto funziona”, dice l'atleta
I cerchi si chiudono se prima li hai aperti. Ma se quando Paola Egonu asfaltava la Cina nella semifinale mondiale del 2018 lei giocava in Serie C… capite bene che la storia di Ekaterina Antropova (con l’accento sulla prima o) è ben diversa da quella di molte sue compagne campionesse del mondo insieme a lei. L’Italia della pallavolo femminile è la squadra di questo secolo. Quella maschile lo è stata dello scorso. Segno che la pallavolo italiana ha una tradizione così radicata e vincente da domandarci perché non sia ancora uno sport professionistico. L’impresa che la squadra di Julio Velasco, allenatore sia di quegli uomini che di queste donne ha compiuto in appena tredici mesi – tanti sono passati dall’oro olimpico di Parigi all’oro mondiale di Bangkok – ha dell’incredibile. Tant’è che è riuscita solo due volte prima e mai con una squadra femminile.
E se per Orro, Danesi, Egonu, Sylla, De Gennaro e Fahr, ovvero i sei settimi della squadra, essere campionesse del mondo è la chiusura di un cerchio che per alcune di loro si è aperto addirittura nel 2016, per lei no. Per lei, Kate Antropova, nata in Islanda da genitori russi, cresciuta a San Pietroburgo e arrivata in Italia a 15 anni, è appena la terza estate in azzurro. “Questo trofeo era molto importante per tutte, ma aveva un valore in più per le ragazze che avevano perso la finale del 2018. Io mi sono trasferita in Italia per giocare a pallavolo e questa medaglia, dopo quella ai Giochi, è l’ulteriore conferma che è stata la miglior scelta che potessi fare”. Perché è proprio quando le facciamo notare che sarebbe titolare in qualsiasi Nazionale, che ribadisce: “Io ho scelto questa…”. E mai come nel suo caso è vero.
Tutto comincia nel 2017 a Sassuolo, dove si trasferisce con la mamma Olga. A vedere in lei un futuro nel volley era stato il nuovo compagno della madre, un medico sportivo. “Io in Russia giocavo in una scuola di pallavolo, non era niente di strutturato e venire in Italia è stato un cambiamento radicale per me. Prima ancora di arrivare io e mia madre abbiamo preso un insegnante che venisse a casa a darci lezioni di italiano”. Sassuolo, con cui gioca dalle giovanili fino all’A2, diventa così il suo primo tesseramento sportivo, oltre che il suo primo domicilio italiano. A seguito di una convocazione della nazionale russa Under 16 a cui lei non ha mai preso parte però, la Cev decide autonomamente di tesserarla come russa. La Federazione italiana non ci sta e parte un lungo iter legale. La battaglia dura anni, lei nel frattempo arriva in Serie A1, a Scandicci (quest’anno sarà la sua quinta stagione), ma finalmente il 10 agosto 2023, per meriti sportivi, Ekaterina Antropova diventa anche cittadina italiana. A quel punto le porte della Nazionale si aprono. Ma come è arrivata, Antropova, cinque anni più giovane di Egonu, a condividere con lei lo stesso ruolo e la stessa credibilità in campo senza che questo potesse creare terreno di scontro tra le due? Merito di Julio Velasco, che quando ha preso in mano un’Italia allo sbando dopo l’era Mazzanti, ha chiarito subito le gerarchie. Per tutte, ma soprattutto per loro: Paola titolare, Kate riserva.
Contestualmente però, ha usato un vecchio schema di gioco, il doppio cambio, per far sì che anche Kate potesse entrare in campo in ogni set, sfruttare il suo talento e togliere a Egonu la pressione costante. Alle Olimpiadi questo “giochino” ha funzionato benissimo, ma filava tutto così liscio (per merito delle azzurre è chiaro) che non ci si è accorti di quanto potesse essere lungimirante il ruolo di Antropova. È ai Mondiali che quel cambio è diventato essenziale. Nelle partite che assegnavano le medaglie Egonu è stata a tratti devastante (il terzo set con la Turchia per esempio), ma a tratti poco incisiva (come nel tie break) ed è allora che a prendere in mano la squadra ci ha pensato lei. Non solo, certo. Ma anche. Con il Brasile ha messo a terra 28 punti e il giorno dopo è entrata in campo a metà del parziale che valeva la storia e ha spaccato la partita con il muro del 9-7. “Gaia Giovannini mi ha detto che il primo l’ha caricata moltissimo”. Inevitabile certezza: ce ne sarà un altro. E infatti così è stato, quello del 14-8, che mette la sua firma sul capolavoro azzurro. “Il messaggio che voglio dare è che nei momenti di difficoltà scopriamo di avere delle risorse infinite. Io l’ho fatto anche grazie alla mia mental coach. La mano di Velasco ha contato tantissimo ma anche tutti i tasselli che ci sono all’interno della squadra. È un meccanismo intero che va alla grande. E questa medaglia è per la squadra che siamo e per me, per i sacrifici che ho fatto”.
E ora? Ci sarà più spazio per lei nel 2026? “Io sono una ragazza che non si aspetta mai le cose, perché secondo me se te le aspetti ti siedi e smetti di lavorare. E poi voglio godermi il momento e il momento me lo godo quando accade”. Di sicuro c’è che una staffetta così non ce l’ha nessuna squadra in un ruolo decisivo come quello dell’opposto. Non solo. L’intuizione di Velasco permette ad Antropova di crescere senza l’urgenza di dimostrarlo ogni volta. Egonu è ancora la prima scelta, ma questa Italia ha già un futuro. “Torno a casa con più consapevolezza ed esperienza, mi sono conosciuta di più anche io, in questo Mondiale. E questo mi permetterà di giocare le prossime manifestazioni con più certezze, perché è vero che la pallavolo è uno sport situazionale, ma è vivendole, le situazioni, che alleni il cervello ad avere una lettura più veloce del gioco. Per me avere Paola dall’altra parte della rete che mi schiaccia forte durante gli allenamenti è prezioso. Come lo è superare il muro di Fahr o Danesi. Quando succede ti dici: se lo faccio con loro, il più è fatto”. Che è un po’ quello che pensa tutta l’Italia di lei. Se abbiamo una Kate Antropova così, il più...

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