Il nuovo direttore sportivo della Lazio, Igli Tare (foto LaPresse)

Il Foglio sportivo

La vita da romanzo di Igli Tare

Alessandro Catapano

Alla scoperta del nuovo direttore sportivo che ha subito regalato al Milan il colpo Massimiliano Allegri

Questa è una storia di calcio, gol e trattative, ma anche di calci, pugni, amori, tradimenti e relazioni pericolose. Ed è una storia tipicamente romana, per la sua capacità di muoversi tra le linee, come uno dei tanti bravi fantasisti (quanta soddisfazione gli danno) che il nostro eroe è andato a scovare sui campi di mezza Europa, solo che qui non ci si muove tra mezzali e attaccanti, ma, talvolta, tra legalità e illegalità. E in questo mondo di mezzo, luogo ideale (in realtà molto poco) che le vicende criminali legate a Massimo Carminati hanno elevato a neologismo, si incontrano calciatori, procuratori, dirigenti, affaristi – il solito coté del pallone – ma pure ultrà, pugili, spacciatori, piccoli boss della malavita. 

 

Insomma, sui quindici anni da direttore sportivo della Lazio di Igli Tare, l’uomo a cui il Milan ha affidato il suo rilancio, si potrebbe scrivere un romanzo. Non criminale, ci mancherebbe. Stiamo parlando di calcio, ma il calcio a Roma, come a Milano, spesso è veicolo di affari, opacità, violenze (come dimostrano le inchieste in corso sulle curve). E nella Capitale d’Italia, Igli Tare è stato uomo di grandi intuizioni calcistiche, ma anche di grandi relazioni, dentro e fuori dal campo, a volte anche con personaggi un po’ chiacchierati, si direbbe da queste parti, che non sempre gli hanno portato benefici. 

 

E dunque, dell’abile dirigente e mediatore che con pochi soldi costruì tante felici edizioni di una Lazio vincente, è necessario ricordare – a titolo esemplificativo, ma non esaustivo – anche la prolungata amicizia con Orial Kolaj, pugile italo-albanese finito in storiacce di pestaggi e droga, o l’ostinazione con cui volle avvalersi della collaborazione, per giunta per la squadra Primavera, dell’amico Fabrizio Mineo, figlio dello storico procuratore Camillo, daspato, insieme ad altri dodici ultrà, per aver affisso in curva Sud (quella dei romanisti) i celeberrimi adesivi di Anna Frank, oltre che frequentatore dell’albanese Elvis Demce, uno dei leader della “Batteria di Ponte Milvio”, il gruppo che aveva scalato le gerarchie dello spaccio all’ombra di Diabolik, al secolo Fabrizio Piscitelli, capo degli Irriducibili e narcotrafficante freddato a colpi di pistola sei anni fa. Era davvero necessario portarsi dietro certi personaggi? Sì, se l’obiettivo era gestire i rapporti con la curva Nord e venire risparmiato, per lunghi momenti, dalla contestazione che gli ultrà hanno invece instancabilmente rivolto a Lotito.

 

Per lunghe stagioni, Tare ha avuto un potere immenso alla Lazio. Effetto, innanzitutto, del suo rapporto confidenziale con Claudio Lotito, fin da quando giocava. Fu proprio il presidente nella sua ultima stagione da attaccante a convincerlo a prendere il patentino da direttore sportivo, per sostituire Walter Sabatini: “Fidatevi, è un fenomeno, parla sei lingue”, ripeteva a chi gli mostrava perplessità per la scelta di affidare un incarico tanto strategico a un dirigente privo di esperienza. Ha avuto ragione Lotito, questo è innegabile. Con una rete di osservatori amici sparsi in tutta Europa, Tare è passato alla storia per la capacità, che in Italia pochi altri hanno, forse solo Sartori, che infatti ha fatto la fortuna di Chievo Verona, Atalanta e ora Bologna, di assicurarsi giocatori il cui talento è già emerso, ma non del tutto esploso, a un prezzo ancora sostenibile per un club della medio-alta borghesia com’era ed è la Lazio. Insomma, detta banalmente, bravo a farsi trovare sempre al posto giusto nel momento giusto. E poi, bravo a trattare, con calciatori, famigliari e procuratori. A valutarne la forza morale, prima che quella calcistica. Ne potremmo citare svariate decine, dei suoi colpi, ci limitiamo a ricordare i Milinkovic, i Luis Alberto, gli Hernanes, i Felipe Anderson, i De Vrj, gli Immobile (anzi, a onor del vero, fu Simone Inzaghi a convincerlo a prendere Ciro, lui voleva Enner Valencia, che piaceva tanto a Bielsa), con cui Tare, negli anni, ha costruito la Lazio delle coppe di Simone Inzaghi e quella del secondo posto di Maurizio Sarri. 

 

Lo sbarco a Roma del tecnico toscano segna l’inizio della sua parabola discendente. Com’è noto, i rapporti tra ds e allenatore non sono mai decollati, e anzi nei primi mesi del 2024, quelli che portarono alle clamorose dimissioni di Sarri, precipitarono. Chi seguiva quella Lazio da cronista ricorderà che i due usavano i giornalisti per screditarsi reciprocamente. E celebre fu una litigata a tavola, in una trasferta olandese, davanti a tutta la squadra, che si risolse con la fuga del ds dal ristorante dopo una battutaccia di Sarri. 

 

Lotito, che lo portava in palmo di mano, a un certo punto fu costretto ad arginarlo. Cominciò dalla Primavera, dove Tare spadroneggiava tanto da far giocare titolare il figlio Etienne, attaccante come lui, ma meno dotato. La moglie, Cristina Mezzaroma, presidente della Fondazione Lazio, gli suggerì di nominare il figlio Enrico direttore generale del settore giovanile. Poi, Lotito gli mise accanto Angelo Fabiani, ufficialmente anche lui come responsabile del settore giovanile, di fatto preso per fargli da cane da guardia. La convivenza è durata una stagione e mezza. Giunto alla saturazione, a fine 2023, e vittima anche di un paio di colpi andati a vuoto (i non memorabili Vavro e Muriqi acquistati a peso d’oro), Igli ha salutato (e, badate bene, oggi i tifosi della Lazio lo rimpiangono).

 

Il Milan è, insieme, riscatto e promozione. Dunque, una sfida affascinante e pericolosa. Altra storia, altro ambiente, altra struttura. Se a Roma è stato per anni l’interprete e il consigliori di un uomo solo al comando (Lotito), qui dovrà districarsi tra due fondi di investimento e una pletora di dirigenti di loro emanazione, Scaroni, Furlani, Moncada e il senior advisor Ibrahimovic. In rossonero, ritrova uno dei suoi pupilli, il difensore Pavlovic, che alla Lazio non poté tesserare per problemi cardiaci (che poi, evidentemente, devono essere stati risolti). Si presenta subito con un colpo a effetto, il ritorno di Massimiliano Allegri: non poteva esserci biglietto da visita più impressionante. Del resto, nelle sue prime dichiarazioni da ds rossonero, qualche giorno fa, aveva detto: “Ho le idee chiare per riportare il Milan alla vittoria”. E se chi ben comincia è a metà dell’opera…

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