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i primi settant'anni del Rossi sr.

Il ribelle Graziano Rossi

Furio Zara

Prima di essere per tutti il papà di Valentino, era lui il pilota di talento. Solo che un po' troppo fuori catalogo, il riassunto vivente dio un'epoca, gli anni Settanta, con troppa contestazione

Prima di diventare il papà di Valentino, Graziano Rossi – 70 anni oggi 14 marzo – è stato un pilota talentuoso, ribelle, fuori catalogo, anche sfortunato, certo, un personaggio che oggi meriterebbe una serie-tv, un riassunto vivente di tutta un’epoca, quella degli anni Settanta, attraversata dal vento della rivoluzione e della contestazione, fosse anche sulle due ruote. Ha un’innata attitudine per lo spettacolo, ama le staccate acrobatiche, quando infila una curva si piega il più possibile, fino a sentire il respiro caldo dell’asfalto. Dice di “avere il cuore più grande della paura”. E paura non ne avrà mai. Per un sorpasso ben riuscito, venderebbe sua madre. Vincere lo ritiene volgare, meglio spendere la bellezza. Non vincerà mai, infatti.

L’esordio nel 1977, su Suzuki. Quelli sono gli anni delle due stelle, Marco Lucchinelli – di cui è amico fraterno – e Franco Uncini. Rossi è terzo nel 1979 (l’anno in cui nasce Valentino) con la Morbidelli, classe 250: nella parte centrale della stagione vince tre gare consecutive in Jugoslavia, Olanda e Svezia, guadagna la certificazione del favorito ed esattamente in quel momento lì comincia a perdere. Quell’anno termina solo cinque gare, ma salendo tutte e cinque le volte sul podio. Tiene i capelli lunghi alla moda del tempo, i baffi, il fisico longilineo spesso inguainato in tutine aderentissime, il passo da cowboy, l’orecchino – uno dei pionieri – l’aria da hippy, la posa stravagante, l’eccesso sempre in agenda: come quando – alla Gigi Meroni – gira con una gallina al guinzaglio lungo la centrale via Branca, a Pesaro, la sua città. Poi quella gallina finirà in un forno, ammantata di rosmarino. Un bandolero stanco, che si sfila dal branco; con una naturale inclinazione al sorriso, a non prendersi mai (troppo) sul serio.

All’inizio lo chiamano il “Maestro volante”, perché in effetti ha preso il diploma alle magistrali e potrebbe insegnare alle scuole elementari. Potrebbe, condizionale. Non ha mai messo piede in un’aula scolastica.

Comincia a correre in moto a diciotto anni, sponsorizzato da un mobiliere di Pesaro. Da ragazzo ha lavorato come aiuto carrozziere, 1.500 lire al mese, poi ha fatto il cameriere, per un certo periodo pure il camionista. Rossi si distingue, fa notizia. Anche quando incappa in qualche incidente, sempre col botto. Rischia un paio di volte la vita. Una volta, gennaio 1980, in macchina, al volante della sua Simca 1000, correndo tra Pesaro e Urbino, si scontra con una Fiat 126, nell’impatto muore una signora di 76 anni. Rossi finisce in coma, la stagione è compromessa.

La verità è che cede sempre all’azzardo, anche in pista.

Un’altra volta, settembre 1982, durante le prove della classe 500, viaggiando su Yamaha a 270 chilometri all’ora, vola via in prossimità della curva della Tosa, a Imola. Sbatte la testa, quindi il torace sull’asfalto, va ancora in coma. Ad assisterlo in ospedale c’è Stefania, la giovane moglie, la mamma di Vale, da cui poi si separerà. Quando esce dal coma non ricorda più nulla. Chiede: “Mi hanno salvato le balle di fieno, vero?”. Soffre però di diplopia, non riesce cioè a mettere a fuoco gli oggetti contemporaneamente con i due occhi. Il bilancio della sua carriera parla di 55 gare nel Motomondiale, dal 1977 al 1982, ultima stagione con la Yamaha del team di Giacomo Agostini.

Dopo due anni di pausa, rispunta nel mondiale di rally, il tempo di stancarsi, due gare, poi il congedo. Poi ad un tratto, diventa il papà di Vale, lui lo chiama Il Biondino. È Graziano il primo a metterlo in sella. Vai come sai. Nel nome del padre, del figlio e della moto. Negli anni lo si vede in pista, il capello più ordinato, la stessa aria sbarazzina da figlio dei fiori fuori tempo massimo – per dire: dorme in macchina, nel paddock – le bretelle e la cravatta gialla sulla camicia scozzese, l’orgoglio da sfoderare, con un sorriso complice, guardando suo figlio che diventa fenomeno.

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