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Europa League

Un'altra Roma era possibile

Marco Gaetani

Daniele De Rossi ha rilanciato i giallorossi che sembravano sfiduciati durante gli ultimi mesi con José Mourinho in panchina. E non solo per il 4-0 al Brighton & Hove Albion di Roberto De Zerbi in Europa League

Sembrava non potesse esserci vita all’infuori di José Mourinho, come se avesse cosparso di sale il terreno prima conquistato e poi abbandonato non per sua volontà. Una Roma arrabbiata e priva di idee, tecnicamente sfiduciata e piatta, rassegnata al “primo non prenderle” senza nemmeno un afflato vitale. I Friedkin si sono concessi un azzardo ragionato: se da un lato è vero che quasi tutti sugli spalti erano con Mourinho, dall’altro era pur vero che fare peggio di quel che si era fatto in questi mesi, sotto il profilo del gioco e della comunicazione, era pressoché impossibile. E allora largo al nuovo che avanza, alla vena di Daniele De Rossi che si gonfia molto meno rispetto a quando era in campo ma pulsa, eccome se pulsa. Era una scelta allo stesso tempo inevitabile, perché qualunque altro tecnico a tempo senza un pedigree all’altezza di quello del predecessore sarebbe stato fagocitato dalle critiche al primo pareggio, e rischiosissima, per il passato praticamente nullo di DDR da allenatore e per il troppo amore provato dalla piazza giallorossa per quella che è stata forse l’icona più fedele a un certo modo di intendere il romanismo, persino più di Totti.

E invece si è scoperto che un’altra Roma era possibile.

Fin dalle primissime battute, pur senza mai nominare il predecessore, De Rossi ha reso chiaro quanto fosse grande l’occasione che gli stava capitando perché grande era il valore della rosa che ereditava. Sotto gli occhi di tutti c’è chiaramente il rilancio in grande stile di Lorenzo Pellegrini, del quale diventa persino inutile snocciolare i numeri, e quello di Leandro Paredes, reduce da un anno e mezzo di disagio profondo tra Allegri e Mourinho e ora tornato a essere un giocatore in grado di assecondare i movimenti di chi gli sta attorno, perché il piede non è mai mancato, aveva soltanto bisogno di vedere attorno a sé dei corpi che si muovessero in maniera codificata, per non parlare della scelta coraggiosa ma allo stesso tempo ormai necessaria di sostituire Rui Patricio con Svilar tra i pali, mossa che ha già fruttato una qualificazione europea dal peso specifico incalcolabile.

Ma la grandezza del lavoro di De Rossi sta nella riscoperta di quelle che teoricamente erano diventate seconde e terze linee, dimenticate e maltrattate: dal recupero di Celik, elogiato nel post partita con il Monza (“Quando si fa male un giocatore ed entra un nazionale turco che non faccio mai giocare e fa una prestazione così… Io li chiamo i singoli invisibili, sono quelli che non stanno sul giornale ma che ti fanno vincere le partite, fare i piazzamenti, vincere gli scudetti”) e confermato nella mattanza andata in scena all’Olimpico contro il Brighton con tanto di nuovo endorsement pubblico (“Non è che se a uno gli dici che è forte diventa forte, se è una sega è una sega: è uno dei più forti che abbiamo. All’inizio gli preferivo chiunque, lui stava lì con il sorriso ma non perché è scemo, anche se non giocava non abbassava mai il livello degli allenamenti”), a quello di Spinazzola, che fino a un mese e mezzo fa sembrava improponibile a questi livelli e già con la valigia in mano. De Rossi lo utilizza in Europa anche per sfruttarne la maggiore fisicità rispetto agli avversari e il terzino ha risposto presente con una prestazione a tratti dirompente sulla fascia sinistra, dimostrando di essere tutt’altro che finito. Abbiamo giocatori che altre squadre si sognano”, ha detto dopo il 4-0 rifilato all’amico De Zerbi.

C’è vita, e che vita, sul pianeta Roma.

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