Lorenzo Pellegrini (foto Ansa)

Uno dei meriti di Mourinho è aver risolto il paradosso di Lorenzo Pellegrini

Andrea Romano

Faceva il raccattapalle quando Totti era capitano. Adesso il centrocampista della Roma trasforma in oro ogni pallone che tocca. Per la consacrazione definitiva però gli manca ritagliarsi uno spazio in Nazionale

Quello scatto è un cortocircuito temporale. Ritrae il passato, ma rivela il futuro. Al centro della foto c’è Francesco Totti. L’espressione seria, i capelli corti, la maglia da allenamento sopra i pantaloncini con il dieci stampato sulla coscia. Sta entrando sul prato verde dell’Olimpico per il riscaldamento. Un rituale ripetuto centinaia di volte, un frammento intrappolato in un’immagine banale. Almeno fino a quando gli occhi non mettono a fuoco un dettaglio. Qualche metro più indietro si vede un ragazzino con le braccia incrociate dietro la schiena. Ha una tuta bianca coperta da un fratino nero. Fa il raccattapalle. E ha lo sguardo fisso sul suo capitano. Nessuno conosce il suo nome, eppure tutti stanno a cosa sta pensando. Quelli dei ragazzi sono sogni semplici. E di tanto in tanto si avverano anche. Una manciata di anni più tardi il raccattapalle è diventato capitano. Numero 7 per evitare problemi dinastici, numero 10 per vocazione. A volte basta un accento per cambiare la prospettiva. Lorenzo Pellegrini e la Roma. Ma anche Lorenzo Pellegrini è la Roma. Almeno quella di Mourinho. Almeno in queste prime quattro partite di campionato. 

 

(foto Ansa)

Un centrocampista che è nesso di causa ed effetto. A ogni giocata segue un’espressione meravigliata sulla faccia di chi guarda. Ancora e ancora e ancora. In poche settimane Pellegrini è diventato quello che tutti pensavano potesse diventare. Un giocatore illuminante. Un giocatore decisivo. Lo era stato anche lo scorso anno. Quattro assist e un gol nelle prime undici partite. Poi la Roma di Fonseca aveva iniziato a sbriciolarsi. I giallorossi non si limitavano più a perdere, dovevano farsi umiliare. Un buio collettivo che aveva ingoiato un singolo dopo l’altro. Anche Pellegrini. E quello che era stato sole era diventato lucciola. Il sette aveva giocato centrocampista centrale davanti alla difesa, aveva giocato trequartista di destra nel tandem dietro a Dzeko. Fino a perdersi. Le sue giocate si erano fatte meno affilate. Il divario fra la percezione del suo talento e la sua applicazione concreta si era fatto più ampio. Nonostante i sette gol, i sette assist e le quasi due occasioni create a partita. Il genio era rientrato nella lampada, il talento viaggiava a corrente alternata. La sua parabola con la fascia di capitano al braccio sembrava più scoscendere verso l’esperienza che era stata di Florenzi che innalzarsi fino a quella di Totti. Lorenzo sbaglia troppe scelte, si prende troppe pause, si diceva. Tanto che alla fine ci si era convinti della genuinità dell’assunto. 

 

L’arrivo di Mourinho è stato salvifico. Un allenatore sciamano che ha trasformato quel ragazzino in un totem attorno al quale far danzare una squadra intera. Il portoghese l’ha incastrato nel ruolo di trequartista centrale. Lo ha lasciato libero di svariare, lo ha obbligato a cucire. D’altra parte in All Or Nothing Mou aveva spiegato il suo modo di intendere il compito di allenatore: curare la fase difensiva per poi addestrare i suoi a prendere le scelte migliori durante lo svolgimento della partita. Esattamente quello che serviva a Pellegrini. Il sette è diventato il Re Mida giallorosso. Ogni pallone che tocca diventa oro, cioccolatino per i compagni, carezza per il pubblico. Ogni sua giocata apre universi paralleli, fagocita difensori. Il gol segnato contro il Verona, di tacco, arrivando sul pallone in velocità, col campo bagnato, è già diventato patrimonio dell’umanità romanista. Così come il tiro a giro contro la Salernitana o lo slalom fra tre difensori del Sassuolo prima di calciare alto di sinistro. 

 

(foto LaPresse)

I numeri raccontano bene l’impatto di Pellegrini sulla Roma. Tre reti, un assist e un compagno di squadra liberato al tiro in media 2.5 volte a partita. Un momento che sembra racchiuso in un verso di una poesia di Cesare Pavese: "Ho trovato compagni trovando me stesso". Ora la grande sfida di Lorenzo riguarda l’azzurro. Un infortunio gli ha precluso l’Europeo. Poi una probabile maglia da titolare in una delle partite per le qualificazioni ai Mondiali in Qatar. L’ultima presenza con l’Italia ha le sembianze della beffa: un minuto contro la Bulgaria a inizio settembre. Mancini lo aveva schierato come esterno d’attacco. Ma è più probabile che lo inserisca come mezzala con possibilità di ritagliarsi il proprio ruolo sulla trequarti. Sarebbe l’ultimo passo in avanti verso la consacrazione definitiva.

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