Gian Piero Gasperini (ansa)  

Il Foglio sportivo

Gasperini vuole dire fiducia. Ecco come all'Atalanta riesce a trasformare giocatori come De Ketelaere

Marco Gaetani

A trent'anni dall'inizio della sua carriera da allenatore la mentalità è rimasta quella: lavorare con i giocatori, limarne i difetti, esaltarne i pregi. Gasperini si sta rivelando perfettamente compiuto nella sua incarnazione atalantina

Dei 19 allenatori seduti su una panchina di Serie A nel weekend del 20 agosto 2016 insieme a Gian Piero Gasperini, ce ne è soltanto uno che oggi si trova alla guida della stessa squadra: è Massimiliano Allegri, che però ha vissuto uno stop and go fondamentale per ridare impulso alla sua avventura bianconera. Se non bastasse il dato, soltanto cinque di loro sono ancora impegnati in A: Nicola, Juric, Inzaghi, Sarri, Di Francesco. Mentre continua a scorrere acqua sotto i ponti, Gasperini è sempre lì: il soprannome che gli era stato appiccicato addosso ai tempi di Genova, Gasperson, chiaro riferimento alla longevità di Alex Ferguson, si sta rivelando perfettamente compiuto nella sua incarnazione atalantina. Una storia che ha rischiato di finire prestissimo, in un pomeriggio di ottobre di quello stesso 2016, l’azzardo improvviso che aveva il sapore della fine e invece si è rivelato lo slancio per una storia d’amore che ancora dura: una sfida contro il Napoli affrontata gettando nella mischia i giovani, che all’epoca rispondevano ai nomi di Caldara, Conti e Gagliardini. Rischiava l’esonero, vinse 1-0, gol di Petagna, e dei 14 giocatori scesi in campo quel giorno, soltanto uno è ancora parte integrante dell’organico nerazzurro, Rafael Toloi, un altro che è diventato più atalantino di chi è nato e cresciuto a Bergamo.


Si possono pensare e dire molte cose, di Gian Piero Gasperini da Grugliasco, un passato da estensione in campo dei pensieri di Giovanni Galeone, un presente da insegnante di calcio, un futuro tutto da scrivere, anche se la sua carriera da allenatore, proprio quest’anno, festeggia il trentennale dall’avvio: entrò nello staff delle giovanili della Juventus nel 1994, dopo una stagione di apprendistato con i bambini della Sisport. La mentalità è rimasta quella: lavorare con i giocatori, limarne i difetti, esaltarne i pregi. E così, all’ottava stagione di Atalanta, stiamo assistendo all’ennesima versione vincente di una realtà che con Gasp in panchina ha saputo togliersi di dosso la definizione di outsider per diventare una bellissima costante: l’ottavo posto di due anni fa è stato il risultato peggiore del ciclo gasperiniano a Bergamo, un piazzamento per il quale prima del suo avvento sarebbero partite piccole feste di piazza. Si può dire che sia spigoloso, ruvido, e qualche ex giocatore nerazzurro, anche in epoca recente, se ne è lamentato. Ma c’è anche chi lo ama incondizionatamente, perché lavorare con Gasperini vuol dire crescere, migliorare, evolvere, e non a caso l’attuale Serie A è piena di suoi ex figliocci divenuti allenatori seguendone il solco. 


Arrivato a Bergamo da pulcino spaurito, oggi Charles De Ketelaere è tornato agli splendori mostrati in Belgio, e non può essere stato soltanto il ritorno al nerazzurro che richiama il suo Bruges dopo un anno in rossonero a spiegare questo miracolo. Non ha paura di lasciare libero il talento, Gasperini, a patto di ricevere in cambio abnegazione quando il pallone ce l’hanno gli altri. È finalmente sbocciato Miranchuk, a lungo oggetto misterioso e oggi elemento preziosissimo, sia partendo dall’inizio, sia entrando dalla panchina: lo stesso vale per Pasalic, che funziona da centrocampista, da trequartista, da guastatore, da titolare e da riserva. Koopmeiners piace alle big d’Italia e d’Europa, giocatore totale anche grazie ai dettami del tecnico, che intanto continua a lanciare prodotti del vivaio atalantino senza farsi troppi problemi – il 2002 Ruggeri ha spazzato via la concorrenza di Bakker, pagato dieci milioni, Carnesecchi ha definitivamente superato nelle gerarchie Musso – e a scegliere, volta per volta, la conformazione migliore per un attacco che finora ha avuto meno del previsto da Scamacca e praticamente nulla da El Bilal Touré, appena inserito nel motore dopo l’infortunio e andato subito a segno nella vittoria arrivata a Marassi. Il tentativo di allungo in zona Champions League, con l’Atalanta che ora è quarta in classifica insieme al Bologna è arrivato nel momento in cui, teoricamente, si poteva vacillare: Gasperini ha infatti perso uno dei giocatori più influenti della prima metà di stagione, Ademola Lookman, volato in Coppa d’Africa. Ma il tecnico ha saputo far fruttare le risorse della rosa, cogliendo qualcosa di buono anche dall’imbrunire di Luis Muriel, per il quale anche un duro come Gasp ha scelto di spendere parole al miele al momento dell’addio: “Molti dicono che l’Atalanta non ha vinto niente, ma quando resti nella memoria dei tifosi diventi quasi immortale. Qui rimarrà sempre il ricordo di Luis e di questo periodo. Il gol col Milan vale più dei trofei”. 


Una visione romantica che tira in ballo la tematica preferita dei detrattori del tecnico: un ciclo meraviglioso ma privo di trofei. Ora che si entra nella fase clou della stagione, la nuova sfida di Gasperini è proprio quella legata alla bacheca. Rimanere in alto in classifica andando in fondo, per quanto possibile, nelle coppe: in Europa League l’Atalanta è già agli ottavi, si è risparmiata le forche caudine dei playoff, e sogna una cavalcata europea da consegnare ai posteri, mentre in Coppa Italia è in semifinale e sfiderà la Fiorentina, nella speranza di regalarsi un posto in finale. Qualora ce la facesse, troverebbe dall’altra parte sicuramente una squadra già affrontata per vincere quel trofeo che manca dal 1963, l’anno di grazia del figlio dell’oste di Lallio, Angelo Domenghini: l’altra semifinale vede infatti in campo Lazio, ricordo nefasto della finale 2019, e Juventus, l’avversaria vincente del surreale ultimo atto del 2021, a Reggio Emilia, con solo qualche migliaio di spettatori sugli spalti per via delle restrizioni Covid. L’auspicio, dalle parti di Zingonia, è che non si debba scegliere, che si possa tornare in Champions e allo stesso tempo riempire una bacheca che non aspetta altro. Sarebbe la ciliegina sulla torta, la giusta ricompensa per un ciclo che deve però essere ritenuto irripetibile già così: quello che ha saputo fare Gasperini non si pesa con i trofei.  
 

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