L'irresistibile tenacia di Walter Sabatini

Il ds della Salernitana è un'anomalia nel sistema, un uomo che a sessantotto anni e dopo svariate peripezie potrebbe tranquillamente dedicarsi a perdersi nei libri mentre è ancora lì, soldatino sul campo di battaglia, con l'elmetto e un'idea disperata cui opporsi ad una classifica che sanguina

Furio Zara

L’uomo che cammina sui pezzi di vetro del calcio italiano gira anche con la maschera di ossigeno a portata di respiro, ha la camminata faticosa - di recente è stato operato ad una vertebra - e giusto un attimo fa per non farsi mancare niente fa si è rotto una gamba. Ma considerato che l’uomo in questione è dotato dell’ironia disillusa dei sopravvissuti - lui l’ha sfangata un paio di volte - ha fatto sapere via social che forse - ma forse - è la nuvola di Fantozzi, quella che gravita sopra il suo destino. Suo e della Salernitana ultima in classifica, che ha appena cambiato l’allenatore Pippo Inzaghi e l’ha sostituito con Fabio Liverani, nella speranza di una salvezza che oggi non rientra nelle prime dieci ipotesi di futuro a menù. Ma al nostro uomo - si chiama Walter Sabatini ed è il ds della Salernitana - piacciono le sfide, anzi di più, ne ha bisogno vitale. Le brama, le cerca. E vederlo in conferenza con la mascherina per l’ossigeno a fare da punteggiatura al suo discorso, spinge all’abbraccio virtuale, ci fa considerare l’irresistibile tenacia con cui questo vecchio ragazzo di pochi caperlli eppur spettinato si aggrappa alla sua passione, il calcio.

   

   

Sabatini è stato spesso disegnato come un filosofo in una giungla di colleghi che si disimpegnano con la clava, urtando tra sintassi e luoghi comuni; certo è un dirigente scafato, visionario per naturale attitudine, scontroso perché alla fine ci si stanca di tutto, persino di noi stessi ammetterebbe egli stesso. E’ una mosca bianca, un’anomalia nel sistema, un uomo che a sessantotto anni e dopo svariate peripezie potrebbe tranquillamente dedicarsi a perdersi nei libri - la sua passione, ma non quelli di calcio - mentre è ancora lì, soldatino sul campo di battaglia, con l’elmetto e un’idea disperata - Liverani! Why not Liverani? - cui opporsi ad una classifica che sanguina.

In quella matassa di tormenti ed estasi che misura i nostri giorni, Sabatini ha intrecciato trame di sogni e di rognosissima vita quotidiana, restituendo a noi che lo guardiamo da lontano l’idea dell’uomo tormentato, perennemente in viaggio dentro se stesso, mai soddisfatto di nulla, da Palermo alla Lazio, scoprendo talenti in ogni parte del mondo, dall’Inter alla Cina, per fare/disfare, dalla Roma a quel Bologna che lasciò perché il presidente - dopo una sconfitta - si rivolse a lui in tribuna e disse: “Siamo una squadra di me***”, embè, quella squadra l’aveva fatta (anche) lui, che inevitabilmente si dimise. “Il mio calcio è furioso e solitario”, ha detto una volta, e messa giù così sembra il titolo di un romanzo di Javier Marias, o una frase da mettere in bocca a uno sghembo poeta viandante, di quelli che attraversano i libri di Osvaldo Soriano. Nel furore e nella solitudine, che sono i suoi ma anche quelli di tanti di noi, ci consola sapere che anche in queste ore Sabatini Walter di professione sopravvissuto ha trovato nel calcio - in quella favolosa ossessione che ci rapisce - la medicina alla sua fatica, il sollievo ai suoi tormenti, la stilla di verità nel fango quotidiano e sì, la goccia di splendore.

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