Alberto Gilardino (foto LaPresse)

Il foglio sportivo

Alberto Gilardino, allenatore precario

Giampiero Timossi

Sta facendo volare il Genoa, ma ha ancora un contratto ad interim

Nel frattempo Alberto Gilardino ha fatto decollare il Grifone lontano dalla pista della B, lo ha fatto volare in Serie A, da esordiente ha battuto la Lazio di Sarri e poi la Roma di Mourinho e, sempre nel frattempo, ha aperto le prime crepe nel Napoli campione d’Italia e avanti così. L’anno che è appena iniziato ha portato il suo Genoa negli altopiani soleggiati della Serie A, quella parte sinistra della classifica che invoca però pensieri rassicuranti, posizione in bassa doppia cifra che se diventasse unica profumerebbe di impresa europea.

Alberto Gilardino, allenatore del Genoa, ha fatto tutto questo da allenatore interinale, certo privilegiato, ma pur sempre precario. È da più di un anno che lui resta immerso nella condizione che oggi rappresenta al meglio il pianeta dell’occupazione giovanile, dove anche le grandi multinazionali hanno inventato la figura del manager ad interim, fardello prima riservato solo alla politica, roba da ministeri di seconda fascia e governi in riserva di fiducia. Ecco, adesso il campionato di Serie A ha inventato anche l’allenatore perennemente ad interim, termine latino che si può appunto declinare con l’avverbio nel frattempo. Perché quel termine latino era già scritto nel primo comunicato targato Genoa CFC che la notte del 6 dicembre 2023 faceva salire l’allenatore dalla panchina della Primavera a quella della prima squadra, giusto per togliere gli americani dall’imbarazzo di un esuberante tecnico tedesco (Blessin) chiamato a sua volta a sostituire un introverso selezionatore ucraino oggi presidente della federcalcio di Kyiv (Shevchenko), facce diverse di una stessa medaglia, quella che vedeva il Genoa incapace di ritirare i carrelli e decollare, dopo esser già precipitato dalla Serie A alla B. 

Poi con Gila tutto ha funzionato, subito e anche dopo e nel frattempo lui sempre a rispondere presente, il solito Gila da Biella, prima attaccante e poi allenatore “risultativo”, termine più brutto del già orribile “apericena”, ma tant’è così lo definiscono i suoi sempre più numerosi estimatori. Così vien da pensare che ora l’unico problema di questo bravo ragazzo sia la comunicazione, non tanto la sua, ma quella che gli gira intorno. Ci sono pagine di giornali che già parlano di piccoli-grandi allenatori nel mirino di grandi-piccoli club, desiderosi tutti di individuare un nuovo tecnico prima si annusi l’estate. Ci sono un po’ tutti, Gilardino mai, alla faccia dei risultati. Per lui invece sempre le solite note, un giro di Do, storia di un predestinato, solo perché da ormai 41 anni festeggia il suo compleanno il 5 luglio 1982, la notte di Italia-Brasile 3-2 e della tripletta di Paolo Rossi. “Predestinato una cippa” avrebbe detto lui se non fosse troppo educato, perché il Gila di Biella ha sudato sui campetti e poi su campi per fare certi gol e non erano gol di rapina, ma gesti di un atleta forte e carico di talento, capace di girarsi in uno spazio così stretto da far invia a un nodo alla cravatta del duca di Windsor, Edoardo VIII re d’Inghilterra passato alla storia per eleganza e un’abdicazione anche più clamorosa di quella di Papa Benedetto XVI.

Alberto Gilardino non abdica, va avanti, risoluto e se può “risultativo”, orgoglioso di aver fatto la gavetta anche in panchina, capace di non nascondere anche certi insuccessi degli esordi, forte della certezza che anche dagli errori si può migliorare, per arrivare così alla seconda caratteristica che definisce la sua carriera di allenatore: migliorare le qualità dei giocatori che la società gli mette a disposizione, quelli che la critica diceva “non possono giocare in Serie A” come Sabelli o l’infante Gudmundsson diventato sotto la guida di Gilardino un attaccante da doppia cifra prezioso come un ovetto Fabergé, senza dimenticare Dragusin appena sacrificato alla sacrosanta causa dei bilanci societari, passando dal Genoa al Tottenham per 30 milioni. Alla cessione Gila non ha fatto un plissé, da buon uomo d’azienda e da educato piemontese, “capelli indietro, cravatta, bici”, per dirla alla Francesco Guccini. Poi, man mano che il mercato del calcio rotolava l’allenatore rossoblù ha avvertito l’esigenza di cambiare spartito. E l’attaccante che festeggiava i gol mimando una sonata per violino, ha messo su un altro pezzo di Guccini, l’Avvelenata, cantandole ai “leoni da tastiera”, quei detrattori che con scarsi elementi numerici in mano facevano capolino sui social. Gente dalla memoria corta, pronti a dimenticare che nell’ultima stagione è lui la vera rivelazione, pronto a guidare il gruppo di quei ex compagni in Azzurro capaci di vincere con Gila il Mondiale germanico del 2006, meglio di Fabio Grosso, almeno al passo con Rino Gattuso, decisamente più performante di Pippo Inzaghi, per non parlare dell’amico Andrea Pirlo, stimato e stimabile, malgrado altalenanti risultati nell’altra sfera del mondo genovese, quella della Sampdoria, in Serie B, in un paradosso tutto genovese, dove Gilardino resta l’allenatore interinale. Non è un grande indizio di progettualità. E allora, forse anche per questo, all’improvviso Gila ha tolto la brillantina, ha preparato la faccia da duro (tranquilli, meno duro di Clint Eastwood), ha aspettato un’altra sfida decisiva, ha fatto l’elenco dei convocati, ha fatto i conti con un’infermeria trafficata, ha visto che per Salerno aveva una dozzina di titolari, un manipolo di Primavera e a quel punto ha chiesto alla società di fare almeno un passo al mercato. La società non ha gradito. Gila però si è fatto sentire, pazienza se lo hanno ascoltato anche al Milan o alla Fiorentina, dove lui ha già lasciato il segno in campo e dove potrebbe finire ad allenare, nel valzer della panchina annunciato per inizio estate. Ah, dopo aver cambiato musica qualcosa si è mosso, è arrivato in prestito pure un talentuoso attaccante portoghese, Vitinha, quello “minore” che non sta al Paris Saint-Germain, ma che a Marsiglia hanno pur sempre pagato 32 milioni. Sarà pronto a brevissimo, nel frattempo? Gila ha vinto anche a Salerno e poi ha battuto pure il Lecce, con una remuntada cuore e cervello, nella domenica perfetta, giusto un paio di ore dopo la grande rimonta tennistica di Jannik Sinner, altro sport, stessa pasta, quelli che mentre gli altri chiacchierano, se la giocano. Anche ad interim o ad maiora, si vedrà.

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