Foto Ap, via LaPresse

calcio d'arabia

I calciatori iniziano a capire che l'Arabia non era poi tutto 'sto Bengodi

Giovanni Battistuzzi

Karim Benzema, che sparisce e poi riappare (a Madrid), e gli altri. Primi mal di pancia sauditi tra chi inizia a chiedersi se veder lievitare il conto in banca nella Saudi Professional League è stata davvero una buona scelta

Karim se ne è andato e non ritorna più. Anzi torna, è mica un Marco qualsiasi su un treno delle 7.30. Anche perché Benzema non è tipo da prendere il treno, per giunta di mattino presto, e molto probabilmente a Laura Pausini frega poco o nulla del calcio saudita, quindi non c’è il rischio di sentire storpiata “La solitudine”. Eppure ce ne sarebbe bisogno, perché c’è una gran solitudine calcistica in Arabia Saudita. Del calcio saudita sembra infatti fregare poco anche al pubblico, saudita e internazionale. L’interesse si accende solo due volte l’anno, nei mesi di calciomercato. E’ troppa la curiosità di sapere quanto riescono a spendere questi ricconi per un campione o presunto tale. Siamo europei, ci concediamo un po’ di snobismo almeno nel calcio.

Chi a Riad e zone limitrofe invece c’è già si sta iniziando a chiedere se davvero essere lì e vedere lievitare a dismisura il conto in banca è stata una buona scelta. Perché mese dopo mese sembra sempre più chiaro che l’Arabia Saudita non è quel Bengodi calcistico che avevano pensato potesse diventare. Certo gli stipendi sono ottimi, i club hanno strutture di primo livello, sono viziati come nessuno potrebbe viziarli però, hanno iniziato a pensare gli atleti, il calcio non è solo questo e l’esotico è affascinante nei libri, sempre che ne abbiano mai letto uno, o nei film, molto meno nella vita di tutti i giorni. E il pallone, per una buona parte dei calciatori, soprattutto negli ultimi anni, è solo una parte della vita di tutti i giorni. E così se nelle occasioni ufficiali tutto è sorrisi, felicità e dichiarazioni d’amore, lontano dai riflettori la situazione è parecchio diversa, le ombre si allungano sulle luci e, per qualcuno, il presunto luogo delle meraviglie si sta trasformando in un luogo asfittico come nemmeno Alcatraz per Clint Eastwood. N’Golo Kanté a parte, ma si sa che il francese è tipo innamorato della vita ritirata, esce poco, legge tanto, studia matematica e si diletta con gli scacchi. N’Golo Kanté è però un’eccezione. Perché il calcio è un mondo strano, che fa rima, senza farlo, con festa, con vita, mondanità.

Karim Benzema è sempre stato un professionista esemplare, ma nelle notti di Madrid si sapeva dove trovarlo. Niente feste esagerate, non è più il tipo, ma i suoi punti di riferimento ce li aveva. Era soprattutto abituato a non essere trattato dalla stampa come un pirla qualsiasi. E questo invece accade regolarmente in Arabia Saudita. Se all’Al Ittihad qualcosa non va, se non vince, è colpa di Benzema. E uno come Benzema certe cose le vive come un affronto personale. Certo l’Al Ittihad, la squadra che gli versa all’anno circa 200 milioni di euro, non se la passa bene, è settima a 25 punti dalla prima ed è stata eliminata al secondo turno del Mondiale per Club dagli egiziani del Al Ahly, non certo uno squadrone, ma Benzema non ritiene che tutto questo possa essere attribuito a lui soltanto.

Karim Benzema per qualche giorno è sparito. La scorsa settimana non si è presentato a due allenamenti, o meglio alle sedute di fisioterapia, visto che ha un problema alla schiena. Poi il club ha detto che non c’era nulla di strano, che tutto era concordato. Non è chiaro da chi e con chi, visto che i fisioterapisti non ne sapevano niente e nemmeno buona parte dello staff tecnico. E’ riapparso a Madrid. La sua Madrid, la città che per quattordici anni è stata casa sua. E dove, dicono diversi suoi amici, non vede l’ora di ritornare.

Facile aver nostalgia del passato quando le cose vanno male. Il problema è che la malattia calcistica brasiliana per eccellenza, la saudade, l’ha contratta pure gran parte di chi giocava in Europa. Rúben Neves, che gioca nella capolista Al Hilal, sta cercando in ogni modo di tornarsene in Inghilterra. A tal punto che gli andrebbe bene pure andare a giocare a Newcastle – che con l’Al Hilal condivide la proprietà – pur di vedere un po’ di gente in tribuna e di vivere alla vecchia maniera europea. Per non parlare di Aymeric Laporte che preferirebbe tornare in panchina al Manchester City pur di continuare a stare al Al Nassr, che Manchester forse non sarà Parigi, ma è senz’altro più attraente di giocare lì dov’è accanto a Cristiano Ronaldo.